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Decadentismo

Tesi sul decadentismo

A costo di annoiare ripeterò qui quanto già scrissi a proposito di altri ipertesti. E cioè: chi si aspetti un contributo autonomo allo studio critico della storia letteraria europea ed italiana dovrà cercare altrove. Questo è un lavoro, onesto e, lo spero, efficace, di alcuni studenti e del loro insegnante di letteratura italiana, finalizzato alla raccolta e alla sistemazione di materiali di studio e di approfondimento. L'abbiamo fatto innanzitutto per noi, se poi dovesse essere utile ad altri studenti e ad altri amanti della storia della letteratura ne saremmo contenti.
Non mancano alcuni spunti autonomi ma la grandissima parte dei materiali è stata raccolta da numerosi saggi e manuali di storia della letteratura, troppi per essere ricordati tutti. Perciò, chiediamo scusa, qui, pubblicamente, a quanti non sono stati citati nell'ipertesto e speriamo non ce ne vogliano per questo.
Questo ipertesto è la sintesi dei lavori svolti da alcuni miei studenti di quinta nello scorso anno scolastico. Purtroppo ho trovato solamente adesso il tempo di sistemare e di riorganizzare i materiali di base ma penso di essere in tempo per aiutare gli studenti che si avviano a sostenere l'esame di stato.
Ringrazio fin d'ora quanti, trovando uno o più di uno dei numerosissimi errori di battitura, abbiano la cortesia di segnalarmeli. Se poi dovesse trattarsi di errori di lettura o di interpretazione (i famosi errori di contenuto) allora scrivetemi lo stesso e provvederò a correggerli.
Prima di chiudere vorrei ricordare gli allievi, oggi tutti ragionieri, i cui lavori di base sono confluiti in questo ipertesto (è ad essi che spetta il merito di avere fatto una prima, accurata, ricerca di materiali informativi di base, che poi selezionammo e approfondimmo assieme in vista dell'esame di maturità del luglio 1998): Nadia Andrighetto, Marco Bordignon, Marika Dametto, Angela Menoncello, Manuela Pasqualin, Daniela Pavan, Luana Visentin, Maria Cristina De Gennaro, Giada Scattolin.

DEFINIZIONE
Atteggiamento di manifestazione del malessere del vivere sociale, nello spirito e nel gusto, manifestatosi in un primo momento nella letteratura, poi nelle arti e nel costume. E' caratterizzato da una visione estetizzante della vita, dall'esplorazione di zone ignote della sensibilità, dalla scoperta del subcosciente, che l'arte fu chiamata a esprimere in forme nuove e irrazionali.

ORIGINE DEL TERMINE
Il termine «decadente» ebbe in origine senso negativo. Fu infatti rivolto polemicamente contro alcuni poeti che esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la crisi di valori del tempo, avvertendo, di là dall'ottimismo ufficiale e spesso ipocrita della società, il fallimento del sogno positivistico.
Ma quegli scrittori fecero della definizione una polemica insegna di lotta, in cui si gettavano, di fatto, i fondamenti d'una nuova visione del mondo e d'una nuova realtà. Essi ebbero insomma la coscienza di vivere un'età di trasformazioni e di trapasso, si sentirono insomma gli scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito non era quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini esistenziali di questa crisi sul piano conoscitivo.

MOVIMENTI LETTERARI LEGATI AL DECADENTISMO
Il Decadentismo è un fenomeno complesso, polivalente nella sua multiforme tematica, nei suoi esiti artistici, nei suoi valori e disvalori, pertanto non c'è, come nel Romanticismo o nel Naturalismo, una poetica che faccia da punto di riferimento comune al variare delle singole esperienze. Abbiamo piuttosto varie direzioni di ricerca, una proliferazione di poetiche, che possono in parte legarsi a due movimenti culturali della letteratura europea: il simbolismo e l'estetismo. Anche in Italia non è possibile ritrovare una corrente letteraria unificante, ma piuttosto poetiche individuali che si rifanno ai miti italiani: quella del «superuomo» in D'Annunzio, del «fanciullino» in Pascoli, del «santo» in Fogazzaro. Una reazione a questi miti, all'affermazione eroica dell'io, è rappresentata dalla poesia dei crepuscolari italiani che si rifanno ai temi del decadentismo francese.
Accomuna queste esperienze la ricerca di nuovi strumenti espressivi, il rigetto della cultura positivista e il rifiuto spesso aristocratico della società contemporanea in ciò che essa ha di abitudinario, di etica comune, di valori diffusi a livello di massa.

Riconducibile al decadentismo è anche il nascere delle avanguardie, cioè di movimenti che pur con grande diversità di poetiche, mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive che, muovendo tutte da premesse irrazionalistiche, segnino una radicale frattura col passato e siano voce e testimonianza della consapevolezza della crisi. E' un'esplosione che dura suppergiù fino agli anni '30 e comprende le cosiddette "avanguardie storiche": il futurismo, l'espressionismo, il dadaismo, il surrealismo.
DOVE E QUANDO
E' difficile stabilire i limiti cronologici del decadentismo letterario. Il decadentismo nacque in Francia contemporaneamente al realismo-positivismo, costituendo di fatto l'altra faccia della cultura degli anni 1850-60, una cultura di minore importanza all'epoca ma già grandiosa nelle sue realizzazioni. Raggiunse il suo culmine attorno agli anni 1885-90 ma non è facile stabilire un momento di chiusura poiché il malessere sociale che ne costituiva l'humus verrà riscontrato anche nel novecento, fino ai nostri giorni.
CARATTERISTICHE
Per attribuire all'arte i fini conoscitivi tipici decadentisti, era innanzitutto necessario ridare autonomia creativa all'artista (che si fa ora «superuomo» ora «fanciullino» o «veggente») affinché non fosse ridotto a impersonale e freddo registratore della realtà, come avveniva nel Naturalismo; erano altresì necessarie nuove tecniche espressive per definire l'inesprimibile (non più l'obbligo dell'uso logico della parola, della sintassi, della punteggiatura).
LE REGOLE
uso della sinestesia associazione inedita e analogica di due parole appartenenti a due campi sensoriali diversi: è utilizzata per cogliere la realtà non più solo attraverso i canali percettivi pubblici (vista e udito) ma anche attraverso quelli privati (olfatto, tatto, gusto), in un reciproco gioco di corrispondenze;
Baudelaire: profumi verdi come praterie e freschi come carne di bimbo;
Pascoli: silenzio candido nell'attesa di una nascita
la parola perde la sua funzione logica, strettamente denotativa ed è impiegata più per le sue valenze connotative; essa è liberata delle sue energie, nelle sue capacità di sprigionare sensi multipli, perché solo se lasciata vibrare nei suoi contenuti affettivi la parola potrà penetrare nelle zone oscure e misteriose dell'inconscio, fino a cogliere le sfumature della realtà e delle emozioni;
Pascoli: la parola come espressione dei tumulti dell'anima
la sintassi è liberata di tutte le intelaiature che condizionano la parola; in tal modo essa può sprigionare tutte le sue energie;
Baudelaire: da L'Albatro:
Per dilettarsi, sovente, le ciurme catturano degli albatri, marini grandi uccelli, che seguono, indolenti compagni di viaggio, il bastimento che scivolando va su amari abissi.
l'aggettivo deve tendere a cogliere l'emozione: deve essere scelto per suggerire il mistero che avvolge gli oggetti e la vita; la poesia deve tendere alla fusione tra tutte le arti, accogliendo di ognuna le suggestioni più produttive;
Baudelaire: le arti aspirano, se non a sostituirsi l'un l'altra, per lo meno a prestarsi reciprocamente energie nuove
la poesia deve ricorrere al simbolo affinché possa andare oltre i dati dell'esperienza quotidiana e ritrovare l'unità di fondo dell'esistenza. Gli oggetti, le parole stesse, le immagini divengono simboli evocatori di sentimenti, di stati d'animo, di idee, attraverso un misterioso legame di analogie.
Per Pascoli, ad esempio, un libro sull'altana e sfogliato dal vento evocherà simbolicamente il mistero della vita tanto affannosamente e inutilmente indagato.
LE PAROLE DELLA SPIRITUALITA' DECADENTISTA
Superomismo
Lanalisi esasperata del proprio io, il desiderio di dominare, il conflitto con la società portano alla concezione del superuomo: specie di eroe asociale, irreale, eroe perfetto.
Senso del mistero
I decadentisti non hanno lorgogliosa fiducia dei positivisti nella possibilità di conoscere la natura e di penetrarne i segreti. Essi la vedono piena di forze ignote, piena di mistero e perciò impenetrabile. Sentono che cè un abisso tra sé e luniverso e sentono la necessità di congiungersi ad esso. Ed è un abisso che la ragione non riesce a colmare; soltanto lintuizione del subcosciente li congiunge al mondo esterno col linguaggio della poesia.
Asocialità
Il poeta, lindividuo, vive nel suo soggettivismo, si isola volutamente dalla società e si compiace del suo isolamento spirituale.
Libertà
Il poeta decadentista rivendica la massima libertà nellesprimere il proprio io e non accetta nessun freno o costrizione, neppure di carattere morale.
Soggettivismo
Luomo si chiude in se stesso, si analizza e si scruta, e ci dà una poesia dei suoi stati danimo e della sua personale analisi psicologica. Il centro della poesia non sono gli altri, non è la società, bensì il poeta stesso. Egli analizza i suoi istinti, di qualsiasi natura.
LA VISIONE DELL'ARTE
L'arte è l'organo di conoscenza per eccellenza, per non dire l'unico; ammessa l'impossibilità di conoscere la realtà più profonda mediante l'esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia, per il suo carattere di immediata intuizione, possa attingere al mistero della vita, esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Per questo essa è considerata come pura illuminazione, messaggio che giunge da una zona remota, opposta all'esperienza usuale, come espressione simbolica. La poesia deve inoltre tendere alla fusione di tutte le arti perché di ognuna deve accoglierne le suggestioni più produttive. Paul Verlaine: Arte poetica
L'EROE DECADENTE
Anche il decadentismo incarna la nuova sensibilità in personaggi esemplari, in miti umani che sono l'espressione del periodo storico europeo. I testi di cui mi occupo sono quelli che più aiutano ad identificare le caratteristiche dell'eroe decadente.

A Ritroso di J.K. Huysmans
Jean Des Esseintes, ultimo discendente di una ricca e nobile famiglia, ha cercato inutilmente soddisfazione nei piaceri di una vita disordinata. Disgustato e incapace di vivere ancora fra i suoi simili, sceglie di continuare i suoi giorni in solitudine, in una dimora che egli stesso si è studiato di rendere il più possibile raffinata e conforme ai suoi gusti. Qui sceglie e colleziona tutto ciò che l'arte ha saputo creare di veramente bello e può condurre l'unico tipo di vita che gli è possibile. Ma proprio questa vita, minutamente descritta nel romanzo nelle sue estetiche sperimentazioni, lo porta alla necrosi e gli diventa quindi insostenibile. L'unica soluzione è quella di tornare tra la gente, in quel mondo banale e volgare che gli ripugna. Ma come potrà salvarsi se, pur dopo esperienze così raffinate, non c'è tipo di vita che lo accontenti?
Jean Des Esseintes è un ribelle freddo, in aperta opposizione col mondo e la vita di ogni giorno, tant'è che tenta di fuggire da essa (...dalle onde della mediocrità umana che salgono fino al cielo...); Egli ricerca l'ideale supremo dell'arte e della bellezza (bello significa artefatto, innaturale, morboso) ma non riesce a reggere la prova dalla fuga del reale; è angosciato come chi ...forzato dalla vita, si imbarca solo nella notte sotto un firmamento che non è più rischiarato dai consolanti fari dell'antica saggezza...
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Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde
Dorian Gray è un giovane bellissimo; quando un suo amico pittore gli regala un ritratto che gli ha fatto, egli stesso rimane affascinato e turbato dalla propria bellezza, e formula un augurio: che la vita e le sue vicende non lascino alcuna impronta sul suo volto, ma vadano a segnare semmai quello del ritratto. Ed è quello che succede: Dorian si da a una vita di piaceri senza scrupoli, si disfa di tutti coloro che ritiene importuni: della giovane innamorata Sibilla, che abbandona, e dell'amico pittore che uccide per il disappunto di sentirsi rimproverato. Ma quello del ritratto su cui, per una sorta di magia, si sono impressi i segni della dissolutezza e del male, è l'eloquente e la più fedele immagine che egli non sopporta e su cui si avventa: ma colpire il ritratto è colpire se stesso. Morendo egli acquisterà la vera fisionomia: quella di un uomo avvizzito dalla dissipazione.
Dorian Gray concepisce la vita solo se realizzata in forma estetica, in culto della bellezza, in moduli rarefatti ed inimitabili di preziosa ricercatezza: ...l'artista è il creatore di cose belle... non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o male: questo è tutto... il vizio e la virtù sono per l'artista materiale di un'arte....

Il piacere di Gabriele D'Annunzio
Ultimo rampollo di un'antica famiglia nobile, Andrea Sperelli ne continua anche la tradizione: è un raffinato, predilige gli studi insoliti, è un esteta. Tutta la sua vita è improntata su questi criteri come pure la vita amorosa. Abbandonato però dall'amante, inutilmente Andrea cerca di sostituire la passione per lei con altri piaceri ed avventure. Rimane ferito in duello e ospitato nella villa della cugina, ritrova le risorse nella natura e nell'arte e nella spirituale bellezza di una giovane donna che qui conosce e di cui si innamora. Corrisposto, non riesce però a liberarsi dall'influsso delle esperienza passate. Andrea confuso rivive così con la nuova amante l'amore per la prima. Ma il rapporto ambiguo viene troncato quando Andrea, in un momento di trasporto si lascia sfuggire il nome Elena, e Maria scopre il fondo di quel legame.
Andrea Sperelli è raffinato e gelido; cultore solo di un bello aristocratico; spregiatore del grigio diluvio democratico odierno che tante belle cose e rare sommerge miseramente
I TEMI PIU' FREQUENTI
individualità: viene esasperata in rapporto a tutto ciò che può essere popolare e quotidiano, in nome di un individuo superiore slegato dalla morale comune dalla massa anonima (Nietzche sarà il teorico di questo nuovo modo di sentire); l'individuo decadente vivrà infatti nella sua solitudine distaccato in modo sprezzante e sdegnoso dalla morale del popolo...
amore: tende a degenerare in passione, nel gusto del proibito, del morboso, dell'ambiguo, o a intorbidirsi nel vizio, nella corruzione e nella depravazione; è anche il tempo dell'omosessualità e del sadismo («i fiori del male»)

rifiuto della società contemporanea e sogno di evasione in un mondo di purezza incontaminata: Mallarmé, Brezza marina

ALTRE COMPONENTI: LA MUSICA
Anche in campo musicale si sviluppa il fenomeno di un'arte sempre più sottratta al condizionamento della realtà e le suggestioni esercitate dai componimenti di Richard Wagner (1813-83) ne sono la dimostrazione. Questa nuova musica è contraddistinta da una morbida e dissimulata sensualità che nelle sue note sembra cogliere le remote radici dell'essere. Per i grandi critici dell'epoca, Wagner realizza «il più opportuno linguaggio musicale per rendere il fondamentale stato d'animo romantico dell'aspirazione, a qualcosa di irraggiungibile, di sperato o rimpianto, comunque fuori dalla realtà del presente.»
Al posto degli elementi del melodramma tradizionale, viene adoperato il canto declamato, non legato da alcuna forma fissa, che segue fedelmente la parola: l'orchestra, non più semplice sostegno della voce umana, diviene elemento sostanziale.
Le opere più significative di Wagner sono:
Rienzi (1842) L'Olandese volante (1843) Tannhauser (1845) Tristano e Isotta, 1865 L'anello dei Nibelunghi (1876) I maestri cantori di Norimberga Parsifal (1882) Idillio di Sigfrido

ALTRE COMPONENTI: LA FILOSOFIA
Una tra le più importanti filosofie, che descrivono la crisi della cultura europea ottocentesca è sicuramente quella di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900), il quale si inserisce negli atteggiamenti decadentisti per la reazione antipositivistica e per la polemica contro la tirannia della ragione scientifica. Egli contrappone a tutti i valori tradizionali (principi democratico-egualitari, piatta fiducia nel deterministico progresso), l'esaltazione della forza, del vitalismo, l'Eros gioioso e libero, e, all'apice di tutto, la «volontà di potenza» e lo spirito agonistico. Sono le componenti del superuomo, la cui etica è al di sopra della morale comune con i suoi concetti di bene e male, di pietà per i falliti ed i deboli. Questa morale comune non è che la debolezza, l'affievolirsi della gioia dei piaceri della vita, cioè le conseguenze della decadenza provocati dalla predicazione cristiana.
Le opere più significative di Nietzsche sono:
Al di là del bene e del male, 1881 Così parlò Zarathustra, 1883 Il crepuscolo degli dei La volontà di potenza

Anche Henri Bergson (1859-1941):
Critica i procedimenti e le verità scientifiche, affermando i valori spiritualistici, religiosi, mistici o comunque irrazionalistici. Pone due forme di conoscenza: quella estrinseca, basata su dati empirici, e quella interiore che frammenta le intelaiature entro le quali noi sistemiamo i dati sensoriali; Critica il concetto di tempo proprio della scienza per sostituirlo con la concezione di durata:
il tempo è puramente una successione di istanti che si susseguono in un ben determinato ordine (passato, presente, futuro); per la realtà della coscienza il tempo è invece qualcosa di irriducibile all'istante, è durata, è processo fluido che conserva il passato e crea il futuro... Il tempo non è più principio di dissoluzione e distruzione, l'elemento in cui le idee e gli ideali perdono il loro valore, la vita e lo spirito la loro sostanza, ma anzi è la forma in cui noi diventiamo padroni e consci del nostro essere spirituali... quel che noi siamo lo diventiamo non solo nel tempo ma grazie al tempo. Non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto di nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento. Non diventiamo più poveri per il tempo passato e perduto; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita
Tramite l'intuizione noi penetriamo all'interno delle cose, cogliamo nel profondo il divenire stesso della realtà, e non tramite l'intelligenza che utilizza concetti e astrazioni elaborate dalla scienza.
...una forma di intuizione è già presente nell'arte, in quanto essa penetra nell'anima delle cose infinitamente più a fondo di qualunque pur minuziosa descrizione scientifica, di qualunque riproduzione fotografica...

ALTRE COMPONENTI: LA PSICOANALISI
La psicoanalisi nasce verso la fine dell'ottocento e ha come oggetto d'indagine proprio il disagio della civiltà tanto declamato dai decadentisti. Sigmund Freud (1856-1939), il fondatore, indagò sulle componenti irrazionali della personalità umana, sui sogni, sui ricordi della più remota infanzia sommersi nel profondo della memoria, per capire il senso di malessere dell'uomo.
Anch'egli sostiene che il fondamento della personalità sia la vita istintiva ed erotica, e che la sua repressione sia dovuta al disagio della civiltà; ma riconosce anche che l'unica via di liberazione stia nella presa di coscienza delle distorsioni e degli inceppamenti della meccanica psicologica, attraverso la ragione. Egli sostiene infatti:
La voce dell'intelletto è tenue ma non tace prima di aver ottenuto udienza. Alla fine, sovente dopo innumerevoli ripulse, trova ascolto. Questi è uno dei pochi punti per cui si può essere ottimisti sull'avvenire dell'umanità, ma in sé non è cosa da poco e vi si possono riannodare altre speranze. Il primato dell'intelletto è certo molto, molto lontano, ma verosimilmente non a distanza infinita.
L'interpretazione dei sogni, 1900 Tre contributi alla teoria sessuale Totem e tabù Introduzione alla psicoanalisi

Altri filosofi importanti ai fini della comprensione del decadentismo, pur appartenendo alla generazione precedente, sono:
Søren Kierkegaard
Arthur Schopenhauer

DEFINIZIONE
Il termine «crepuscolare» fu usato per la prima volta il 10 settembre 1910, quando Giuseppe Antonio Borgese pubblicò sul quotidiano "La Stampa" un articolo, intitolato Poesia crepuscolare, nel quale recensiva tre raccolte poetiche uscite in quellanno: le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e ironia di Carlo Chiaves. Laggettivo "crepuscolare" alludeva ad una presunta insufficienza della loro poesia, che chiudeva in tono sbiadito la grande stagione della tradizione ottocentesca, quella dannunziana e pascoliana. Borgese scrive:
"Poiché son giunti al levar delle mense, devono contentarsi delle briciole. Che cè da far dopo le «Odi barbare» di Carducci, dopo l«Otre», dopo «La morte del cervo», dopo quella dozzina di liriche dannunziane, nelle quali la nostra lingua mostrò veramente tutto il suo potere? Dovranno passare molti anni prima che quelleco si spenga o dovrà sorgere un altro temperamento di quella forza."
Oggi definiamo «crepuscolare», senza alcuna intenzione negativa, un modo particolare di sentire la vita e di scrivere poesia. La definizione di Borgese ebbe fortuna, ma non fu mai accettata dai poeti a cui si riferì, poiché essi non costituirono mai un gruppo o una corrente, rimanendo ciascuno isolato nella propria individualità. Il termine «crepuscolare» servì piuttosto a indicare uno stato d'animo di ripiegamento e di abbandono ed una lirica dai toni languidi e malinconici che registrava fatti e volti della realtà quotidiana, anche la più comune e banale. Alle antiche gerarchie di valori, ormai venute meno, i poeti «crepuscolari» sostituiscono una visione malinconica della vita, spesso autoironica, che tende a mettere in crisi ogni certezza. La poesia crepuscolare è piena di cose, avvenimenti, personaggi modesti, di «buone cose di pessimo gusto» come le definì Gozzano, «povere piccole cose» come le chiamò Corazzini (corsie di ospedali, monachelle, fiori finti, animali imbalsamati, amori adolescenziali).
L'assenza di un programma poetico unico spiega la diversità degli atteggiamenti dell'uno e dell'altro dei crepuscolari (Sergio Corazzini, Giudo Gozzano, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Corrado Govoni, Aldo Palazzesci...) e il passaggio di alcuni di essi ad esperienze d'arte di altro tipo, per esempio al futurismo o all'ermetismo. Le loro composizioni sono accomunate da un tenue pessimismo, da una malinconia senza scosse e senza ribellioni, da una stanchezza di vivere che in alcuni, come Corazzini e Gozzano, è connessa con malattie fisiche.
LE CARATTERISTICHE
La poesia crepuscolare afferma che la vita non è unopera da plasmare con il gesto eroico, è uno spazio ristretto, angusto, da superare con larte, da far rivivere attraverso la mediazione della letteratura, cui lesistenza comunica le sue tonalità, voci basse, gesti quotidiani e sommesse ironie.
I crepuscolari negano alla poesia ogni ruolo sociale e civile, rifiutano il concetto di poeta vate, promotore del progresso della storia e considerano la tradizione e il Classicismo, cui si ispirarono in modi diversi Carducci, Pascoli e DAnnunzio, unesperienza completamente conclusa.
I poeti sono accomunati da una malinconica inquietudine che nasce dalla totale sfiducia in ogni ideale religioso, politico e sociale.
Il silenzio dei crepuscolari se ha un significato non è quello di un rifiuto sdegnoso, ma piuttosto di un concreto appartarsi, fatto più di rinuncia e anche un po di pigra incomprensione, che di motivato giudizio morale e storico.
I TEMI E GLI AMBIENTI
Il repertorio crepuscolare utilizzò, a livello spaziale, i viali solitari, i giardini incolti, le piazze vuote, i giardini polverosi, le cianfrusaglie delle soffitte, luoghi in cui si celebrava il rito della noia di domeniche sempre uguali e della prosaicità del quotidiano e dello squallore.
Strettamente legata allambientazione risulta la scelta della tematiche:
Gli stati danimo privilegiati sono quelli della tradizione decadente, che si traducono nella malinconia, nel rimpianto di un 800 ormai naufragato, assieme ai miti del progresso e della scienza;
Stanchezza e solitudine, che porta alla "chiusura" in un mondo provincialmente ristretto sono la traduzione dello smarrimento decadente;
Su tutta la produzione crepuscolare aleggia un senso diffuso di morte:
"Sono un fanciullo triste che ha voglia di morire." (Sergio Corazzini)
La poesia, rifiutata la vita come spettacolo, si riempie delle povere piccole cose di cui è fatta lesistenza.
IL PAESAGGIO E LO SPAZIO
Il paesaggio non è più lintenso luminoso paesaggio di San Martino o quello solare e maestoso di Mezzogiorno alpino di Carducci, né tanto meno quello silvestre dannunziano de La pioggia nel pineto, in cui lartista si sente immerso panicamente e al quale partecipa vivendo le suggestive e magiche atmosfere di seduzione della natura;
il paesaggio crepuscolare si smorza nei toni, nei colori, soffoca la luce, si restringe allinterno di perimetri ben delimitati, recintati, che solo apparentemente chiudono lorizzonte alluomo e al poeta;
gli orti delle case, dei conventi, i giardini, i parchi delle ville, i solai, i salotti sono il nuovo spazio entro cui il poeta si muove e nei quali scopre e ricorda luniverso intorno;
per Moretti lorto diventa un deposito di cari ricordi, mentre per Corazzini il piccolo giardino addormentato di provincia è il custode di teneri amori, di sogni, di desideri puri e grandi malinconie:
Ricordare è più dolce, ogni filo derba
potrebbe ricordare
ché molto sa. Quante memorie care
questo stretto recinto anche ci serba.
Hortulus
O piccoli giardini addormentati
in un sonno di pace e di dolcezze,
o piccoli custodi rassegnati
di sussurri, di baci e di carezze
Giardini
IL LINGUAGGIO
Sul versante stilistico si verifica un coerente e significativo abbassamento di linguaggio, con conseguente rottura della continuità con la tradizione classica;
il lessico è comune, quotidiano, umile; la sintassi è lineare, senza inversioni, spesso paratattica e comunque caratterizzata da una cadenza prosastica anche quando è ricca di subordinate;
tutto ciò assume un aspetto particolare in Gozzano, autore colto e raffinato che mostra una grande abilità nel mescolare aulico e prosastico: la sua lingua è ricca di prosaicismi ma anche di aulicismi, che sono accolti consapevolmente e criticamente; labile accostamento del livello lessicale e sintattico aulico e di quello umile provoca un raffinato effetto ironico, che tradisce però una parziale attrazione per le intonazioni auliche e dannunziane. Il lessico gozzaniano accoglie con particolare attenzione i neologismi della moda (veletta) e della tecnica (fotografia, dagherròtipo), e nomi propri, e date,e parole straniere;
la metrica registra, rispetto ai maestri del passato recente, una netta discesa culturale che ha certo contribuito alla fortuna del verso libero in Italia. I versi sono spesso ipometri, cioè mancanti di una sillaba, gli accenti non sono sempre regolari, le rime talvolta imperfette e spesso facili.
GLI AUTORI
Corrado Govoni
Marino Moretti
Sergio Corazzini
Guido Gozzano

Atteggiamento del gusto e del pensiero che, ponendo i valori estetici al vertice della vita spirituale, considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell'individuo; fa parte del più vasto fenomeno del decadentismo.
L'estetismo è un rifiuto reazionario e sdegnoso della realtà, della democrazia, della società borghese per rifugiarsi in uno sprezzante isolamento, in una vertiginosa solitudine che ha però come conseguenza la sconfitta dei suoi eroi freddi e intellettualizzati.
Agli occhi dell'esteta, l'arte è il solo valore autentico dell'esistenza; perciò egli costruisce la propria vita come un'opera d'arte; perennmente alla ricerca della bellezza, egli rigetta ogni considerazione morale, ogni dovere imposto dalla società umana. Ogni forma di industrializzazione, di pacifismo borghese, di positivismo, di democrazia, di socialismo porta alla volgarità, alla banalità alla mercificazione dell'arte. L'arte è l'unico rifugio, l'unica difesa dalla volgarità della vita normale, dall'immensa... profonda... incommensurabile cafoneria dei finanzieri e dei nuovi ricchi, come scrive Huysmans.
La vita dell'intellettuale deve essere coinvolta nell'arte, farsi arte essa stessa. L'identità di arte e vita è perfettamente resa nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray (1890) dello scrittore Oscar Wilde.
L'esteta ha il compito di tendere alla raffinatezza, all'eroismo, alla gloria, ad un ideale supremo di bellezza; bellezza isolata, preziosa, ambigua, perversa, lussuriosa così come codifica lo scrittore Walter Pater nei Ritratti Immaginari (1887) allorquando commenta la Gioconda di Leonardo.


Collegamenti per approfondire:
Oscar Wilde, Il Ritratto Di Dorian Gray
Walter Pater, I Ritratti Immaginari
Joris-Karl Huysmans, A Rebours
Gabriele D'annunzio, Il piacere

Il Futurismo è un movimento di avanguardia letteraria e artistica, che ha origine dalla pubblicazione del Manifesto del futurismo su Le Figaro del 20 febbraio 1909.
AVANGUARDIA
Gli intellettuali dellavanguardia hanno un atteggiamento sdegnoso e aristocratico nei confronti della realtà comune e dei valori classici e tradizionali. Ricercano loriginalità a tutti i costi, lirrazionalismo inteso come esaltazione dellebbrezza di vivere momenti di fugace appagamento, lesaltazione della tecnologia della società capitalistica. Questi motivi sono coerenti con il nuovo gusto di un pubblico avido di novità, che contestano i valori tradizionali.
COME SI DIFFUSE IL FUTURISMO
Il futurismo simpone come unorganizzazione culturale, politica, editoriale con unideologia che tende a diventare un «costume di vita». Si organizzò come una scuola ben definita: il capo storico è Filippo Tommaso Marinetti e latto di nascita è rappresentato dalla pubblicazione del Manifesto.
Le famose «serate» di incontro col pubblico nei teatri: la componente spettacolare, legata alla recitazione dei testi, giungeva al coinvolgimento diretto del pubblico spingendolo alla rissa. Riviste come Lacerba, sulla quale venivano dibattute le idee futuriste. L'appoggio dato ai movimenti nazionalistici e al fascismo; l'amore per la rissa e la violenza; l'atteggiamento spregiudicato e ultramopdernsta.
Per merito di queste iniziative, numerose e rumorose, il futurismo si diffuse in breve in tutta la penisola italiana, espandendosi poi in vari paesi europei.
IL MANIFESTO DEL FUTURISMO
1. Noi vogliamo cantare lamor del pericolo, labitudine allenergia e alla temerità.
2. Il coraggio, laudacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò, fino ad oggi, limmobilità pensosa, lestasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, linsonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Unautomobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dallalito esplosivo...unautomobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare alluomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare lentusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non vè più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti alluomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!...Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dellimpossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nellassoluto, poiché abbiamo già creata leterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie dogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le marce multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano lorizzonte, e le locomotive dallampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli dacciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. E dallItalia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, darcheologi, di ciceroni e dantiquari. Già per troppo tempo lItalia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
I temi fondamentali del movimento, così come li espone Marinetti nel Manifesto del futurismo, sono:
lamore del pericolo labitudine allenergia il culto per il coraggio e laudacia lammirazione per la velocità la lotta contro il passato ("noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie dogni specie") lesaltazione del movimento aggressivo (" linsonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno") la guerra ("sola igiene del mondo").
Il futurismo è il movimento dellespressione del dinamismo del mondo moderno; vuole "cantare la civiltà della macchina", perché solo ad una velocità elevata si può avere una diversa percezione del paesaggio, si può attingere sensazioni nuove dal mondo della scienza e della tecnica.
LA LINGUA DEI FUTURISTI
Questi contenuti devono essere espressi in un nuovo modo, perciò Marinetti:
abolì il culto della tradizione, nelle poetiche e nel linguaggio; rigettò la sintassi, le parti qualificative del discorso (avverbi e aggettivi); propose di usare le «parole in libertà», cioè senza alcun legame grammaticale-sintattico fra loro, senza organizzarle in frasi e periodi; sostenne la necessità di usare i più disparati elementi linguistici (espressioni dialettali, neologismi, onomatopee di suoni animali e meccanici), per esprimere immediatamente il meccanicismo psichico dellimpressione.
GLI INTELLETTUALI FUTURISTI
Marinetti rappresentò la figura più dirompente di un gruppo di scrittori e di artisti che trovarono in Parigi il punto dincontro delle loro esperienze, idee e inquietudini.
Atteggiamento comune ai futuristi dellarea italo-francese (è da considerare a parte il Futurismo russo, che presenta alcune caratteristiche diverse, anche dal punto di vista dellarte) è un esasperato vitalismo, che si traduce nel rifiuto della tradizione classica, dellIlluminismo e del Romanticismo. La loro ideologia è ispirata a un individualismo al tempo stesso populista ed antidemocratico.
Legame con il fascismo
Il futurismo portò ad uno sconvolgimento delle forme espressive dellarte, ma non seppe o non volle elaborare né unadeguata poetica né unideologia rivoluzionaria. Negli anni successivi esso sviluppò solamente un atteggiamento nazionalistico: Marinetti divenne in Italia uno dei più importanti rappresentanti della cultura fascista.
L'ARTE FUTURISTA
I risultati migliori del futurismo furono ottenuti nella poesia, nella pittura e nella musica attraverso lastrazione delle forme: il verso libero, lastrattismo e il cubismo, la dodecafonia. Sul piano delle arti figurative il movimento fu uno dei principali incentivi a quella che si può chiamare la rivoluzione dellarte moderna.
LESEMPIO RUSSO
Il messaggio futurista non fu ambiguo in Russia, dove con la Rivoluzione dottobre vi fu un radicale rovesciamento del sistema produttivo e una presa di coscienza tragica e profonda del cambiamento delle strutture fondamentali della società.
L'ATTEGGIAMENTO FUTURISTA
Le caratteristiche essenziali dellatteggiamento futurista sono due:
lintento di "svegliare" la sensibilità attraverso una sensibilità definita "gagliarda", in cui tutti i cinque sensi fossero proiettati in una continua sollecitazione segnata dalla velocità; il carattere analitico, mediante il quale le sensazioni vengono esaminate e razionalizzate, ridotte a formule facilmente applicabili a ogni aspetto dellattività umana e della cultura.
GLI SCRITTORI
Filippo Tommaso Marinetti Cavacchioli P.Buzzi Soffici Palazzeschi
GLI ARTISTI
Carrà Severini Boccioni Balla

DEFINIZIONE
Fenomeno descrivibile piuttosto che definibile, per la sua stessa natura e per le sue proporzioni, il simbolismo è un movimento letterario e artistico sorto in Francia per iniziativa di Jean Moréas, che ne pubblicò il manifesto su "Le Figaro" del 18 settembre del 1886, lo stesso anno della pubblicazione della rivista "Le Decadent". I simbolisti pubblicarono numerose riviste, tra le quali spiccano le diverse riviste da cui il verbo simbolista si diffuse: Le Symboliste, La Plume, Le Mercure de France, la Revue blanche.

Il simbolismo prende lo spunto da una della più celebri poesie di Baudelaire, «Correspondences» (corrispondenze), in cui il poeta francese scrive che tutte le cose hanno tra di loro un legame misterioso, per cui spesso una ne richiama l'altra, come un profumo o un colore o una musica richiamano ricordi e tempi lontani.
CARATTERISTICHE
Per l'artista simbolista la realtà è mistero e la natura si presenta come una foresta di simboli che al poeta spetta di interpretare e svelare con un atto di intuizioneespressione. A tael scopo il poeta simbolista rifiuta la tradizionale logicità e referenzialità del linguaggio e ricorre massicciamente a tecniche come il simbolo, lallegoria, lanalogia, la metafora ricercata, la sinestesia, gli accostamenti imprevisti e misteriosi, le accumulazioni apparentemente insignificanti, luso sapiente e simbolico degli spazi bianchi, degli artifici tipografici e iconici. La poesia deve comunicare in forme non razionali, che trovano il loro grande modello nel linguaggio della musica.
La parola poetica deve ricreare magicamente la realtà:
Il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire lindefinibile e dire lineffabile; può abbracciare lillimitato e penetrare labisso; può avere dimensioni deternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, loltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come unestasi; può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere lAssoluto.
(Gabriele DAnnunzio)
Se il poeta deve farsi veggente al lettore è richiesto di essere persona dotata di cultura, intuizione e sensibilità non comuni, di lasciarsi coinvolgere in unesperienza di lettura che va al di là di ogni normale atto di comunicazione, di tendere i suoi sensi e la sua sensibilità per cogliere i segni e gli indizi dellesperienza sovranazionale compiuta dal poeta.
Ogni cosa sacra e che voglia restare sacra si avvolge nel mistero. Le religioni si trincerano in arcani misteri che si svelano solo a chi è predestinato. Anche l'arte ha i suoi arcani... Io mi son chiesto spesso perché questa caratteristica indispensabile è stata negata ad una sola arte, alla più grande, cioè alla poesia...
(Stéphan Mallarmé)
LA POESIA SIMBOLISTA
Per i simbolisti la realtà non è quella della scienza, della ragione o dell'esperienza, è qualcosa di più profondo e misterioso che può essere inteso soltanto dalla poesia. Poesia è perciò la rivelazione dell'essenza misteriosa del reale: essa cerca le affinità segrete nelle apparenze sensibili, per cogliere idee primordiali; essa intende il linguaggio della realtà profonda , il messaggio segreto della natura, l'essenza.
L'arte è l'unico valore e la vita per potersi realizzare deve risolversi in arte. L'arte è atto vitale, è la realizzazione dell'essenza stessa della vita, è creazione e va al rovescio rispetto ai valori della società borghese.
Il poeta rinuncia alla funzione morale e sociale caratteristica dei romantici; aspira a risalire alle sorgenti stesse dell'essere, vuol farsi veggente, rivelare, cioè, l'ignoto, percepibile per illuminazioni, e dell'inconscio, secondo le misteriose leggi delle universali corrispondenze e delle analogie.
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiars.
Comme de long échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme del hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.
(Charles Baudelaire)
La natura è rappresentata come una foresta di simboli (da un verso di Baudelaire) tra loro corrispondenti che racchiudono le chiavi del significato dell'universo. Il mondo è un insieme di simboli che ci parlano in un misterioso linguaggio: né la scienza né la ragione possono penetrarlo ma solo l'arte. Il poeta per intuizioni misteriose ed improvvise coglie il senso riposto nella realtà, scoprendo collegamenti apparentemente illogici fra oggetti diversi, associando colori, profumi, suoni di cui riesce a percepire la misteriosa affinità, scegliendo le parole non per il loro significato concreto ed oggettivo ma per le suggestioni che possono evocare con il loro suono ed il loro ritmo.
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
che ronzano al di sopra dei crudeli fetori,
golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di ghiaccio, brividi di umbelle, bianchi re;
I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
che ridono di collera, di ebbrezza penitente;
U, cicli, vibrazioni sacre dei mari viridi,
quiete di bestie al pascolo, quiete dell'ampie rughe
che alle fronti studiose imprime l'alchimia.
O, la suprema Tuba piena di stridi strani,
silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
O, l'Omega ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!
(Arthur Rimbaud)

I POETI
La poesia simbolista ebbe i suoi grandi protagonisti in Rimbaud, Verlaine e Mallarmé; essi influirono in misura determinante sui successivi svolgimenti della poesia europea, specie in Inghilterra, in Germania, in Russia. In Italia il simbolismo ebbe un'eco indiretta nella poesia di Pascoli ed un riflesso su D'Annunzio. Ma fu soprattutto nei primi anni del nuovo secolo che esso fu veramente conosciuto nella pienezza delle sue affermazioni teoriche e delle sue proposte di novità espressiva, influendo così in misura determinante sui futuristi e sui poeti ermetici.
L'ARTE SIMBOLISTA
Nelle arti visive il termine simbolismo si riferisce al movimento artistico, nato in Francia a partire dal 1880, che interpretò gli stessi atteggiamenti del gusto e della sensibilità che caratterizzarono il simbolismo in ambito letterario. Fra i suoi primi rappresentanti furono i pittori Pierre Puvis de Chavannes, Gustave Moreau e Odilon Redon, che facevano uso di colori brillanti e linee fortemente espressive per rappresentare visioni oniriche di notevole emotività, a volte tendenti al macabro, ispirate a soggetti letterari, religiosi o mitologici.

Il simbolismo influenzò anche la pittura dell'olandese Vincent Van Gogh e dei francesi Paul Gauguin ed Emile Bernard. Lo stile dei due pittori francesi, che lavorarono insieme a Pont-Aven, in Bretagna, fra il 1888 e il 1890, può essere esemplificato dalla «Visione dopo il Discorso della Montagna» (1888, National Gallery, Edimburgo) di Gauguin. Questo stile, che essi definirono sintetista o simbolista, si contrapponeva all'analiticità dell'impressionismo. La prima mostra simbolista fu organizzata da Gauguin nel 1889-1890 all'Esposizione universale di Parigi.

Gabriele D'Annunzio divenne un personaggio di primo piano nella nostra storia nazionale per la sua azione favorevole allintervento italiano nella prima guerra mondiale: Il celebre discorso La sagra dei mille, pronunciato sullo scoglio di Quarto il 5 maggio 1915, fu come una scintilla che percorse tutta lItalia ed infiammò i giovani alla lotta. Quando lItalia entrò in guerra, Dannunzio aveva 52 anni, ma partecipò alla lotta prima fra i Lancieri di Novara, poi in marina e quindi in aviazione. Compì molte imprese eccezionali, dalla beffa di Buccari al volo su Vienna. Alla fine della guerra non fu soddisfatto della cessione di Fiume alla Jugoslavia e perciò occupò la città dalmata costituendovi un governo.
DAnnunzio, il geniale DAnnunzio, DAnnunzio che tutto faceva invece di sognarlo, fu idolatrato dalla borghesia che sognava di imitarlo ma o non era capace o non poteva (gli affari, gli interessi, la famiglia, la mamma, il perbenismo). Fautore di un progetto aristocratico sia per la vita che per larte, DAnnunzio disprezzò le masse e coprì di parole di spregio e di derisione la borghesia bottegaia. Nondimeno era adorato.
NellItalia umbertina e giolittiana del buon senso il dannunzianesimo eccitava morbosamente la fantasia di quanti non avevano la forza morale (o dovrei dire immorale?), lintelligenza e la vitalità per diventare essi stessi Gabrielidannunzio.
LA VITA
Nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Nel 1874 viene iscritto al collegio Cicognini di Prato, dove resta sino al completamento degli studi liceali nel 1881; nel 1879 pubblica una raccolta di versi, Primo vere, che esce in seconda edizione l'anno seguente.
1881-1891: periodo romano
Trasferitosi a Roma nel 1881, alla conclusione degli studi liceali, pubblicò dei racconti di cornice verista, Le novelle della Pescara , ambientate in un Abruzzo primitivo e prorompente di umori sensuali, che danno inizio a un periodo detto appunto il periodo romano, denso di interessi mondani e culturali. Tutto proteso alla conquista della notorietà e della gloria, frequentò i salotti più raffinati ed ebbe amori tanto travolgenti quanto effimeri; tentò lavventura politica, ottenendo lelezione al Parlamento e scrisse moltissimo sia in prosa che in poesia.
Pubblica le raccolte poetiche Canto novo (1882) e Intermezzo (1883). Lo "scandalo" della sua relazione con la duchessina Maria Hardouin di Gallese si conclude con il matrimonio. Nel 1889 pubblica Il piacere, la testimonianza più cospicua dellestetismo italiano.
189194: periodo napoletano
La relazione con Barbara Leoni, iniziata all'incirca nel 1886, sta già per finire agli inizi degli anni Novanta: non se ne avvantaggia comunque il rapporto coniugale da cui sono nati tre figli. Si trasferisce a Napoli: collabora al "Corriere di Napoli" diretto da E. Scarfoglio e M. Serao; inizia una relazione con Maria Anguissola, principessa Gravina, da cui ha due figli, che finisce nel 1897 quando inizia la frequentazione con Eleonora Duse.
Pubblica:
il romanzo L'innocente (1892)
la raccolta di liriche Elegie romane (1892)
le liriche del Poema paradisiaco (1893, il titolo della raccolta fu "imposto" a D'Annunzio dall'editore; il poeta, in quel momento in urto con il pubblico voleva titolarla: Margaritae ante porcos, Perle ai porci, dove è chiaro chi fossero i "porci" e cosa le "perle")
il romanzo Trionfo della morte (1894).
Nell'estate del 1895 compie un viaggio in Grecia e nel 1897 partecipa alle elezioni riuscendo eletto deputato, con un programma «al di là della destra e della sinistra», che sostanzialmente è di chiara impostazione nazionalistica.
18981910: periodo de "La Capponcina"
Negli ultimi anni del secolo DAnnunzio si stabilì a Settignano in Toscana, nella villa della Capponcina, dove condusse una vita talmente dispendiosa che, caricatosi di debiti nonostante i cospicui guadagni ottenuti con le sue opere, nel 1909 fu costretto a fuggire in Francia, in "volontario esilio", come egli disse con sconfinata impudenza. "La Capponcina", che ha lussuosamente arredato, è poco lontana dalla villa della Duse, la quale nel 1899 è interpreta l'opera teatrale La Gioconda che ottiene notevole successo.
Nel 1900 il suo romanzo Il fuoco fa scandalo per le rivelazioni sugli amori con la Duse.
Produce varie opere teatrali: La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave e coltiva anche altre relazioni amorose..
191015: periodo francese
Vive, lussuosamente, a Parigi, circondato da ammiratori e da amanti. Dalla Francia seguiva attentamente le vicende italiane. Allo scoppio della guerra di Libia scrisse le Canzoni delle gesta doltremare che inneggiavano alle mire espansionistiche italiane.
Scrisse, in francese: Le martyre de Saint Sébastien, e la Pisanelle.
1915-1920: gli anni della guerra
Nel 1915 ritorna in Italia e partecipa attivamente alla propaganda interventista col discorso a Quarto per la Sagra dei Mille. Durante la guerra, alla quale partecipò come volontario, ottenne varie medaglie doro e dargento per le sue imprese spericolate. In seguito a un incidente occorsogli durante un atterraggio di fortuna, perse un occhio. Costretto allimmobilità per un certo periodo, scrisse il Notturno, una serie di prose ritenute tra le cose di DAnnunzio più sincere e più intense.
Nel settembre, a capo di volontari e di forze regolari, occupa militarmente Fiume in opposizione al governo italiano: la abbandonerà di fronte all'intervento dell'esercito italiano nel dicembre del 1920.
192138: gli ultimi anni
Si stabilisce sul Lago di Garda, a Gardone Riviera, in una magnifica villa prospiciente il lago di Garda. Di qui salutò con grande favore lavvento del fascismo ma Mussolini, mentre da una parte lo ricolmò di favori e di onori, dallaltra lo tenne alla larga dalla politica. DAnnunzio trascorse gli ultimi anni in un isolamento tanto splendido quanto intimamente vuoto. Nel 1937 viene nominato presidente dell'Accademia d'Italia; muore il 1° marzo 1938 per emorragia celebrale.
A questultimo periodo risale il Libro segreto, che insieme al Notturno oggi gode di molta attenzione da parte dei critici.
OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE
Canto novo, raccolta di liriche pubblicata nel 1882. La natura è rappresentata nel suo tripudio di luci, colori, odori e con essa il giovane poeta stabilisce un "rapporto di tipo solare" proteso al godimento e alla fusione con essa.
Il piacere, il più noto dei romanzi di D'annunzio.
Ne è protagonista Andrea Sperelli. Raffinato e gelido; cultore solo di un bello aristocratico; spregiatore del grigio diluvio democratico odierno che tante belle cose e rare sommerge miseramente, Andrea Sperelli è l'ultimo rampollo di un'antica famiglia nobile e ne continua anche la tradizione: è un raffinato, predilige gli studi insoliti, è un esteta. Tutta la sua vita è improntata su questi criteri come pure la vita amorosa.
Il romanzo si apre nel giorno di S.Silvestro. Andrea Sperelli, il protagonista, attende, nel suo appartamento la visita di Elena Muti, la donna che è stata sua amante, ma che non vede da quasi un anno. Larrivo di Elena è preceduto da una rievocazione dellultimo incontro fra i due e, come in un gioco di scatole cinesi, dal ricordo della loro storia damore che in quel giorno lontano Andrea aveva rievocato. Lincontro porta però ad una nuova separazione ed Elena, che ora è sposata, se ne va piangente, lasciando lamante nella prostrazione più profonda.
I capitoli che seguono ripropongono in modo più dettagliato ed impersonale il primo incontro tra i due e la loro storia damore, terminata quando la donna (già vedova del duca di Scerni) aveva preferito sposare il ricchissimo Lord Heathfield, e la tumultuosa serie di avventure erotico-sentimentali alle quali Sperelli si era abbandonato dopo il loro addio. Il primo libro termina con la descrizione di un duello in cui Andrea è coinvolto a causa di un'altra donna e che termina con il suo ferimento.
Durante la convalescenza, in una sorta di purificazione e di rinascita spirituale, Andrea Sperelli scopre la profonda perfezione dellarte e medita di "trovare una forma di Poema moderno", "una lirica veramente moderna nel contenuto ma vestita di tutte le antiche eleganze". E in questo momento di elevazione intellettuale e di distacco dalle passioni tumultuose che egli incontra Maria Ferres, moglie di un ministro guatemalteco, ed inizia fra i due un amore platonico, poi rievocato, attimo per attimo, nel diario di Maria che occupa unampia sezione del secondo libro e che termina con lesplicito riconoscimento, da parte della donna, del suo amore per Andrea.
A questo punto si chiude la lunga parentesi retrospettiva e la narrazione riprende dal quel giorno di San Silvestro in cui Elena ed Andrea si rincontrano. Tutta la parte finale è costituita da una sorte di tormentato contrappunto tra lamore sensuale per la Muti, che illude e tradisce Andrea tenendolo però avvinto a sé, e lamore più puro e spirituale del protagonista per Maria. Sarà però la passione dei sensi a prevalere e, proprio quando Andrea sembra aver conquistato definitivamente il cuore della Ferres che gli si concede, egli pronuncerà, fra le braccia della sua nuova amante il nome di Elena.
Poema paradisiaco, raccolta di liriche composte dal 1891 e pubblicate nel 1893. Il titolo, derivato dal latino, equivale letteralmente a "poema dei giardini". Si rileva qui la tematica decadente, ma segnata di rievocazione nostalgica, con aspirazioni epidermiche a una sorta di purezza e di spiritualizzazione delle passioni, che si traducono in un linguaggio e in una versificazione sapientissimi, accordati su toni dimessi, come di colloquio e di confessione.
L'Innocente, romanzo pubblicato nel 1892, che non tiene nascosti gli influssi della lettura del russo Dostoevskij. È una narrazione in prima persona ed è incentrato sulle vicende del "multanime" Tullio Hermil e della moglie Giuliana. A lei, malata, Tullio si dedica in modo particolare con una sorta di volontaristica pratica di "bontà", malgrado sia attratto e legato all'amante Teresa Raffo. Ma proprio quando si libera da questo legame, crede di scoprire gli indizi di una relazione della moglie con lo scrittore Filippo Arborio poi confermati dalla notizia che Giuliana è incinta. Nei due coniugi spunta un progetto delittuoso: sopprimere il nascituro, testimonianza di una fugace colpa, ostacolo alla realizzazione del loro "sublime" amore. È Tullio che, esponendo al freddo invernale il bambino, l'"innocente", compie il delitto.
Trionfo della morte, romanzo del 1894, terzo del "Ciclo della rosa". L'opera, articolata in sei "libri", ha una struttura narrativa debole. È incentrata sul rapporto contraddittorio e ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio e su questo tema di fondo si innestano o si sovrappongono altri motivi e argomenti. Giorgio, in una confusa contaminazione tra superomismo e velleità mistiche, aspira a realizzare una vita nuova, una perfezione di vita spirituale che si fondi sull'autodominio e sull'autosufficienza, e vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo.
Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi: l'opera poetica più notevole e famosa. Doveva essere di cinque libri, quante sono le Pleiadi, invece è solo di quattro.
1. Il primo libro, Maia, è composto nel 1903 e il sottotitolo (Laus vitae) ne chiarisce i motivi ispiratori: una vitalistica celebrazione dell'energia vitale, un naturalismo pagano impreziosito o sopraffatto dai riferimenti classici e mitologici.
2. Il secondo libro, Elettra, composto tra il 1899 e il 1902 celebra gli eroi della patria e dell'arte; nella terza parte sono cantate 25 "città del silenzio" e nella quarta parte è il famoso Canto augurale per la Nazione eletta che infiammò di entusiasmo i nazionalisti italiani.
3. Il terzo libro, Alcyone, pubblicato con il primo, contiene il meglio di D'Annunzio come poeta.
4. Il quarto libro, Merope, raccoglie canti celebrativi della conquista della Libia.
Notturno, raccolta di meditazioni e ricordi, in forma di prosa lirica, redatta nel 1916 durante il periodo di immobilità e di cecità. Lopera è caratterizzata da un momento di intimità e di ripiegamento su sé stesso.
Nella prima parte del libro predomina il ricordo dellamico e compagno di armi Giuseppe Miraglia, morto ancora giovane nel dicembre del 1915, cui farà seguito il sentimento denso di commozione affettuosa per la madre inferma e stanca, che morì di lì a poco, nel gennaio del 1917.
Tra pagine di esaltazione eroica, in cui il poeta lamenta linganno che la morte gli ha teso, lasciandolo in vita al posto dei suoi più giovani compagni, tra quelle di dolente rimpianto per gli amici scomparsi, troviamo appuntate le sensazioni del poeta, le sue osservazioni sulla vita e sullarte e preziosissime riflessioni.
IL CICLO DEI ROMANZI
Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse, giacchè i protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
I romanzi della rosa, fiore simbolo della voluttà, della passione invincibile:
Il Piacere (1889) L'innocente (1892) Il trionfo della morte (1894)
I romanzi del giglio, fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica. La seconda trilogia doveva ispirarsi al superuomo di Nietzsche. Il superuomo non è più schiavo delle passioni ma si serve di esse per realizzare pienamente la propria volontà di potenza. In verità Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, in grazia delle qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata la quale, per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni. D'Annunzio ignorò o finse di ignorare il significato profondo del niccianesino e lo adottò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri. Nel superuomo nicciano, così come lo immaginò D'Annunzio, s'intravede piuttosto il profilo dei grandi dittatori sanguinari e deliranti del nostro secolo, col loro macabro seguito di tragedie e di guerre.
Della seconda trilogia, D'Annunzio scrisse solo il primo, Le vergini delle rocce (1896). Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse (Massimilla, Anatolia, Violante) di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capece-Montaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi, Trigento, "paese di rocce". Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, al quale un giorno il popolo, disgustato della demagogia e dalla corruzione della vita politica, offrirà la corona regale.
I romanzi del melograno, pomo dai molti granelli, simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni. Dei tre romanzi previsti, D'Annunzio scrisse solo il primo, Il fuoco (1900).
Il fuoco (così intitolato perché inteso come simbolo della creatività dell'artefice), narra, sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Éffrena per la Foscarina. E' un romanzo scopertamente autobiografico, perché vi è adombrata la storia dell'amore del poeta per l'attrice Eleonora Duse.
Stelio è un poeta che sogna una nuova forma di arte drammatica, che risulti dall'intima fusione della parola, del colore, del suono, dell'azione. E' la stessa poetica di Wagner, che del romanzo è un personaggio. La Foscarina dovrebbe essere l'interprete di questo nuovo dramma; ma Stelio s'innamora della giovinetta Donatella Arvale. La Foscarina se ne accorge e ne è gelosa, ma dopo, rassegnata, cede il posto alla rivale e si accomiata da Stelio.
IL MITO DI D'ANNUNZIO
D'Annunzio rappresentò nella vita italiana, con i suoi atteggiamenti, innanzitutto un fatto di costume, incarnò i desideri di evasione dalla monotonia quotidiana di ceti intellettuali e borghesi insoddisfatti della realtà della vita nazionale nei decenni post-risorgimentali. Per questo gran parte della sua vastissima opera, creata per esaltare e sostenere il mito che di sé aveva costruito, appare oggi superata e priva di attualità.
Ebbe tuttavia almeno due meriti: sul piano culturale, si avvicinò di volta in volta ad autori ed atteggiamenti del decadentismo europeo contribuendo a diffonderne la conoscenza in Italia ed a sprovincializzare la nostra cultura. Sul piano più intimamente poetico, accanto all'esteriorità di molti atteggiamenti esibizionistici seppe almeno cogliere ed esprimere la comunione dei sensi e dell'anima con la molteplicità della vita naturale, creando quella dimensione "panica", di immedesimazione quasi fisica e sensuale basata sulle immediate sensazioni, che in particolare nella raccolta Alcyone segna il nascere di un atteggiamento nuovo per la nostra poesia.
Per esprimere questo atteggiamento raffinato e sensuale D'Annunzio si servì di un linguaggio ostentatamente insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci arcaiche e sull'invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare; creò così un "culto della parola" ricercata soprattutto per clamorose risonanze musicali (anch'egli si affidò molto alle onomatopee) che spesso è solo espediente retorico, ma che sa anche diventare talora esperienza linguistica originale e contribuisce, anche se in misura minore del Pascoli, ad avviare il nuovo linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive.

Antonio Fogazzaro nacque a Vicenza nel 1842 da un'agiata famiglia, da cui ricevette un'educazione di stretta osservanza cattolica. Sulla sua formazione influì profondamente lo Zanella, suo insegnante al Liceo di Vicenza, il quale non solo stimolò in lui la vocazione letteraria ma gli comunicò anche l'interesse per il problema, destinato a diventare centrale nella sua ideologia, del rapporto tra fede religiosa e progresso scientifico.
Sui suoi interessi letterari e sulla sua sensibilità influirono decisamente gli scrittori e i poeti del secondo romanticismo e alcuni fra i più noti scrittori stranieri, come Victor Hugo. Dopo un periodo di inerzia e di dissipazione trascorso tra Padova e Torino, dove si laureò in legge nel 1864, e dopo una breve attività forense, si dedicò completamente all'attività letteraria. Nel 1866 sposò la contessa Margherita di Valmarana; quindi si stabilì a Vicenza, dove visse fino alla morte nel 1911.
OPERE PIU' SIGNIFICATIVE
Sebbene ad un livello più basso, rispetto a Pascoli e D'Annunzio, anche Antonio Fogazzaro fu interprete di un nuovo modo di sentire, pur nella volontà di rimanere nel solco della tradizione, che è il manzonismo in letteratura e l'ortodossia cattolica nell'ideologia. Di famiglia e di cultura cattolica, ostile al positivismo materialistico ma sensibile al discorso evoluzionistico di Darwin, Fogazzaro tentò una conciliazione tra questo e le concezioni ufficiali della Chiesa incorrendo nella condanna sancita da papa Pio X contro il modernismo.
Sul piano letterario, la duplicità dell'atteggiamento di Fogazzaro, mai compiutamente risolta, si riflette nell'adesione al manzonismo, soprattutto vivo nella descrizione degli ambienti e dei personaggi minori dialettalmente lombardi, e insieme nella recezione delle ansie e delle turbe psichiche che sono al centro dell'interesse della sua epoca, presenti nei protagonisti a partire dalla Marina di Malombra, apparso nel 1881, lo stesso anno della pubblicazione dei Malavoglia di Verga.
Il dualismo tra fede e ragione è al centro di Piccolo mondo antico (1891), universalmente considerato il suo capolavoro, che narra la vicenda di Franco e Luisa, due sposi di ideologie diverse, messi a confronto con la realtà della morte della figlia Ombretta. A Piccolo mondo antico seguirono Piccolo mondo moderno (1900), Il Santo (1905) e Leila (1911), in cui però ancora appare irrisolto il contrasto tra presente e passato, tra Decadentismo e Romanticismo, che fu tipico di Fogazzaro.
Narratore ancora tardo-romantico per i temi e i modi tradizionali della sua scrittura, Fogazzaro predilige la terza persona, contrariamente all'uso sempre più incalzante della prima nel romanzo dell'epoca, ma nello stesso tempo nei suoi romanzi la dimensione del reale va perdendosi nelle sfere impercettibili di una sensibilità diffusa, nei modi appunto del Decadentismo. Infine, il misticismo cui Fogazzaro approda soprattutto ne Il santo altro non è che una dimensione incoscia della propria decadente impotenza, incapace di fondere il reale con l'ideale.

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Da ragazzo fu nel collegio dei Padri Scolopi ad Urbino, quindi nei licei di Rimini e di Firenze. Nel 1867, il padre, mentre tornava a casa su un calessino trainato da una cavalla storna, rievocata in una poesia, fu ucciso. Non si seppe mai chi fosse lassassino ed il delitto rimase perciò impunito. Poco dopo la morte del padre il Pascoli perse anche la madre e le due sorelle: e la famiglia, composta prevalentemente di ragazzi, cadde nella miseria e nel dolore. Il poeta poté giungere alla laurea, grazie ad una borsa di studio che gli permise di frequentare luniversità di Bologna. Su questo fatto importante egli ha lasciato una commossa rievocazione nel racconto Ricordi di un vecchio scolaro.
Certamente le vicende tristissime della sua famiglia, a cui egli assistette da fanciullo, e poi le difficoltà economiche e gli ostacoli da superare, sempre solo, lasciarono un solco profondo nel suo animo ed influirono sul suo carattere e conseguentemente sulla sua poesia.
Da professore insegnò a Matera e quindi a Massa ed a Livorno, ma, avendo assunto atteggiamenti anarchici, fu trasferito a Messina. Ma non fu un ribelle, anzi, alla maniera decadente si chiuse nel suo dolore, si isolò in se stesso, solo con le sue memorie e con i suoi morti. La sua ribellione fu un senso di ripulsa e di avversione per una società in cui era possibile uccidere impunemente e nella quale si permetteva che una famiglia di ragazzi vivesse nella sofferenza e nella miseria.
Non cè ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione al male, una certa passività di fronte ad esso: vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge tutto: uomini e cose. Egli accetta la realtà triste come è, e si sottomette al mistero che non riesce a spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e non è neppure descrittiva: esprime soltanto degli stati danimo, delle meditazioni. E' lascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli giungono da lontano: dalla natura o dai morti.
LA VITA
1855 Nasce, quarto figlio, da Ruggero e da Caterina Allocatelli Vincenzi.
6171 Studia nel collegio dei padri scolopi a Urbino.
1867 Il padre viene assassinato mentre torna a casa in calesse.
7173 Frequenta il liceo a Rimini.
1873 Vince una borsa di studio lo esamina Carducci e si iscrive alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna.
76-77 Anni di miseria perché ha perso la borsa di studio; trascura gli studi, frequenta l'anarchico Andrea Costa, si impegna in riunioni e attività politiche.
1879 Nel settembre viene arrestato per aver partecipato ad una dimostrazione di anarchici ma viene prosciolto in dicembre.
1882 Si laurea e con l'interessamento di Carducci ottiene un posto al liceo di Matera.
1884 È trasferito al liceo di Massa, dove qualche anno dopo chiama a vivere presso di sé le sorelle Ida e Maria.
1891 Prima edizione di Myricæ .
1892 Vince la prima medaglia d'oro al concorso di poesia latina ad Amsterdam.
1895 Il matrimonio della sorella Ida lo sconvolge. Scrive alla sorella Maria da Roma, dove è "comandato" al Ministero della pubblica istruzione: «Questo è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de' miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!»
97-03 Insegna letteratura latina all'Università di Messina, dove vive, ma ritorna spesso a Castelvecchio, presso Barga, dove ha affittato una casa di campagna che nel 1902 compra col ricavato dalla vendita di cinque medaglie d'oro conquistate al concorso di Amsterdam.
1904 Pubblica i Poemi conviviali e l'edizione definitiva dei Primi poemetti.
1905 Succede a Carducci nella cattedra di letteratura italiana a Bologna.
1906 Pubblica Odi ed Inni.
1909 Pubblica i Nuovi poemetti e le Canzoni di Re Enzio.
1912 Muore di cancro.
IL PENSIERO DI PASCOLI
Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, sulla quale influirono due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi di fine ottocento.
La tragedia familiare colpì il poeta quando il 10 agosto del 1867 gli fu ucciso il padre. Alla morte del padre seguirono quella della madre, della sorella maggiore, Margherita, e dei fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti lasciarono nel suo animo un'impressione profonda e gli ispirarono il mito del "nido" familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza. In una società sconvolta dalla violenza e in una condizione umana di dolore e di angoscia esistenziale, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano.
L'altro elemento che influenzò il pensiero di Pascoli, fu la crisi che si verificò verso la fine dell'Ottocento e travolse i suoi miti più celebrati, a cominciare dalla scienza liberatrice e dal mito del progresso. Pascoli, nonostante fosse un seguace delle dottrine positivistiche, non solo riconobbe l'impotenza della scienza nella risoluzione dei problemi umani e sociali, ma l'accusò anche di aver reso più infelice l'uomo, distruggendogli la fede in Dio e nell'immortalità dell'anima, che erano stati per secoli il suo conforto:
...tu sei fallita, o scienza: ed è bene: ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l'altra. La felicità tu non l'hai data e non la potevi dare: ebbene, se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede...
Pertanto, perduta la fede nella forza liberatrice della scienza, Pascoli fa oggetto della sua mediazione proprio ciò che il positivismo aveva rifiutato di indagare, il mondo che sta al di là della realtà fenomenica, il mondo dell'ignoto e dell'infinito, il problema dell'angoscia dell'uomo, del significato e del fine della vita.
Egli però conclude che tutto il mistero nell'universo è che gli uomini sono creature fragili ed effimere, soggette al dolore e alla morte, vittime di un destino oscuro ed imperscrutabile. Pertanto esorta gli uomini a bandire, nei loro rapporti, l'egoismo, la violenza, la guerra, ad unirsi e ad amarsi come fratelli nell'ambito della famiglia, della nazione e dell'umanità. Soltanto con la solidarietà e la comprensione reciproca gli uomini possono vincere il male e il destino di dolore che incombe su di essi.
La condizione umana è rappresentata simbolicamente dal Pascoli nella poesia I due fanciulli, in cui si parla di due fratellini, che, dopo essersi picchiati, messi a letto dalla madre, nel buio che li avvolge, simbolo del mistero, dimenticano l'odio che li aveva divisi e aizzati l'uno contro l'altro, e si abbracciano trovando l'uno nell'altro un senso di conforto e di protezione, sicchè la madre, quando torna nella stanza, li vede dormire l'uno accanto all'altro e rincalza il letto con un sorriso.
OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE
Pascoli usa ancora forme classiche come il sonetto, gli endecasillabi o le terzine, ma la sua poesia costituì la prima reale rottura con la tradizione. Al di là della sua apparente semplicità, è dalla poesia di Pascoli che genera buona parte della poesia del Novecento. Le numerose pause che generano spezzature all'interno del verso, oppure le frequenti rime sdrucciole che producono accelerazione; l'uso insistito delle onomatopeee, la presenza di parole ricavate dalla lingua dei contadini così come da quella dei colti, l'introduzione di temi fino ad allora rifiutati dai poeti importanti, tutto concorre a produrre una poesia che è rivoluzionaria nella sostanza e nelle intenzioni più che nella forma esteriore.
Il poeta è, per Pascoli, colui che è capace di ascoltare e dar voce alla sensibilità infantile che ognuno continua a portare dentro di sé pur diventando adulto. La poesia scopre nelle cose rapporti che non sono quelli logici della razionalità e attribuisce ad ogni cosa il suo nome. Essa, senza proporsi direttamente scopi umanitari e morali, porta ad abolire l'odio, a sentirsi tutti fratelli e a contentarsi di poco, come avviene nei fanciulli.
... io vorrei trasfondere in voi, nel modo rapido che si conviene alla poesia, qualche sentimento e pensiero mio non cattivo. [...] Vorrei che pensaste con me che il mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura. E vorrei invitarvi ala campagna.
(dalla Prefazione ai Primi poemetti, 1897)
Myricæ(1891): è una raccolta di liriche di argomento semplice e modesto, come dice lo stesso Pascoli, ispiratosi per lo più a temi familiari e campestri. Il titolo è dato dal nome latino delle tamerici ("non omnes arbusta iuvant humilesque Myricæ": non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici), umili pianticelle che sono prese a simbolo di una poesia senza pretese, legata alle piccole cose quotidiane e agli affetti più intimi.
Il titolo è allusivo ad una poesia dimessa, diversa da quella del Carducci e anche da quella ardua e aristocratica di DAnnunzio. La prima edizione è del 1891. Insieme con i Canti di Castelvecchio sono opere che la critica ha definito "del Pascoli migliore", poeta dellimpressionismo e del frammento: «Son frulli di uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane&», scrisse il poeta nella Prefazione del 1894.
E' dunque una poesia fatta di piccole cose, inerenti per lo più alla vita della campagna, di quadretti rapidissimi, conclusi nel giro di pochi versi "impressionistici", dove le "cose" sono definite con esattezza, col loro nome proprio (per esempio prunalbo per biancospino). Vi compaiono anche poesie (Novembre, Arano) in cui le "cose" si caricano di una responsabilità simbolica e già si affaccia il tema dei morti (X Agosto), sottolineando una visione della vita che tende a corrodere i confini del reale avvertito come paura e mistero- per una evasione nella fiaba e nel simbolo (Carrettiere, Orfano, L'assiuolo).
Nella raccolta, cresciuta nel tempo dalle 22 poesie della prima edizione alle 155 dell'ultima, tolti pochi componimenti rimasti a sé, le poesie si ordinano per temi, corrispondenti ai cicli annuali della vita in campagna. La raccolta si apre con Il giorno dei morti, il giorno in cui il poeta si reca al camposanto che «oggi ti vedo / tutto sempiterni / e crisantemi. A ogni croce roggia / pende come abbracciata una ghirlanda /donde gocciano lagrime di pioggia.» In questa giornata «Sazio ogni morto, di memorie, riposa.» Non tutti però. «Non i miei morti.»
Temporale
Un bubbolìo lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un'ala di gabbiano.
Canti di Castelvecchio (1903): nella raccolta sono compresi e approfonditi i temi di Myricæ ma ha particolare incidenza il tema del nido familiare e delle memorie autobiografiche e compaiono parecchi componimenti di impianto narrativo; finito il vagabondaggio per la campagna di Myricæ se ne inizia uno nuovo: ma ora è un viaggio attorno al suo giardino, entro i cancelli e entro il suo orto.
Il senso del mistero, connesso al dolore della vita e allangoscia della morte, si traduce ora in una sorta di allucinazioni, nel ricordo dei morti («Mi son seduto in una panchetta / come una volta.../ quanti anni fa? / Ella, come una volta sè stretta sulla panchetta», La tessitrice), ora nellauscultazione di richiami impercettibili («... mi chiamano le canapine / coi lunghi lor gemiti uguali», Le rane), ora nello sconfinamento dei ricordi -suggeriti ad esempio dal suono delle campane- ai limiti del preconscio: «Mi sembrano canti di culla / che fanno chio tori comera / Sentivo mia madre... poi nulla... / sul far della sera» (La mia sera). Sono trasalimenti dellanimo e simboli che però lievitano frequentemente da notazioni realistiche, espresse attraverso un discorso addirittura narrativo: «E saprono i fiori notturni, nellora che penso ai miei cari / Sono apparse in mezzo ai viburni / le farfalle crepuscolari» (Il gelsomino notturno). Si può dire che nei Canti sta il punto del massimo compenetrarsi tra i due aspetti della poesia pascoliana: il simbolo e la realtà.
La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube del giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Né io... e che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don... Don... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.
Poemetti (pubblicati nel 1897 e poi sdoppiati in Primi poemetti, 1904 e Nuovi poemetti, 1909): costituiscono una vera e propria epica rurale sul modello delle Georgiche virgiliane: cantano, in terzine dantesche, lamore di Rosa per il cacciatore Rigo, la vita contadina, il lavoro dei campi (La sementa, La piada, Laccestire).
Italy affronta il tema dellemigrazione (anchesso riflesso di quello del nido) dove il contrasto campagna-città, infanzia-maturità, spogliato delle sue connotazioni autobiografiche, si oggettiva nel contrasto tra la vita patriarcale che si svolge nella campagna nativa e quella febbrile della metropoli americana, tutta tesa ai «bisini» ("business" gli affari) e al successo. Il contrasto si risolve sul piano linguistico in un audace sperimentalismo.
A queste composizioni si intrecciano altre percorse da un simbolismo insistito, e talvolta esplicito (Il libro); si accampa quella che è stata definita «una poesia astrale», aperta a «voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco» (La vertigine).
Il libro
Sopra il leggìo di quercia è nell'altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora
esercitata dalla tramontana
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch'uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d'un tratto...) sia venuto, e lento
sfogli se n'ode il crepitar leggiero
le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento,
invisibile, là, come il pensiero...
Poemi conviviali (1904): il loro titolo è tratto dalla rivista "Convivio" di Alfredo De Bosis, ma allude anche ai canti degli aedi ai conviti (Triste il convito senza canto). In endecasillabi sciolti, richiamano miti e figure del mondo classico, greco e romano (il mito dellEllade percorre come un filo rosso tutto lOttocento, da Foscolo a Leopardi, a Carducci, a DAnnunzio): ma la sensibilità decadente di Pascoli stravolge questi miti, fino a farne simboli della infelicità e del mistero, annullando -secondo un procedimento tipico che sottintende la fuga dalla realtà i confini della storia, per assorbirla in una visione esistenziale: così Alessandro Magno, arrivato ai confini della terra, piange, perché non può più "guardare oltre, sognare" (Piange dallocchio nero come morte / piange dallocchio azzurro come il cielo, Alèxandros); così letera non è più la creatura splendente di bellezza e di vita della tradizione classica, ma è la donna affannata che, nellErebo, è circondata dalle larve dei figli non nati; e "lodissea" di Ulisse conduce leroe non verso le fascinose plaghe del mito (Polifemo e le sirene sono illusorie costruzioni della fantasia), ma verso lorrenda morte. Odi e Inni: contengono componimenti scritti a partire dal 1903. Pascoli qui assume il ruolo di poetavate e celebra gli eroi nazionali, le realizzazioni del lavoro e della tecnica, le grandi esplorazioni; Carmina: è la raccolta delle poesie latine di Pascoli pubblicate dalla sorella Maria; Il fanciullino; La grande proletaria.
LA POETICA
La poetica di Pascoli è espressa nella celebre prosa, Il fanciullino. Questi ne sono i punti essenziali:
1. Vi è in tutti noi un fanciullo musico (il "sentimento poetico") che fa sentire il suo tinnulo campanello dargento nelletà infantile, quando egli confonde la sua voce con la nostra non nelletà adulta quando la lotta per la vita ci impedisce di ascoltarlo (letà veramente poetica è dunque quella dellinfanzia).
2. Infatti, è tipico del fanciullo vedere tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta; scoprire la poesia nelle cose, nelle più grandi come nelle più umili, nei particolari che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro lacrime (la poesia la si scopre dunque, non la si inventa).
3. Il fanciullino è quello che alla luce sogna o sembra di sognare ricordando cose non vedute mai; è colui che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi alle nuvole, alle stelle, che scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose, che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alle nostra ragione (la poesia dunque ha carattere non razionale, ma intuitivo e alogico).
4. Il sentimento poetico, che è di tutti, fa sentire gli uomini fratelli, pronti a deporre gli odi e le guerre, a corrersi incontro e ad abbracciarsi, per questo la poesia ha in sé, proprio in quanto poesia una suprema utilità morale e sociale. Non deve proporselo però, in quanto la poesia deve essere "pura", non "applicata" a fini prefissati; il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non storico, non maestro.... La poesia ha una funzione consolatoria: fa pago il pastore della sua capanna, il borghesuccio del suo appartamentino ammobiliato. E per questo il poeta è per natura socialista, o come si avrebbe a dire umano.
ELEMENTI DELLO STILE
Il linguaggio: Pascoli usa un linguaggio poetico lirico, con echi e risonanze melodiche ottenute talvolta con ripetizioni di parole e di espressioni cantilenanti, arricchite di rapide note impressionistiche e di frasi spesso ridotte allessenziale. In questo egli prelude ai poeti del novecento.
Il lessico: è nuovo, con mescolanze di parole dotte e comuni ma sempre preciso e scrupolosamente scientifico quando nomina uccelli (cince, pettirossi, fringuelli, assiuoli...) o piante (viburni o biancospini, timo, gelsomini, tamerici...).
Realtà e simbolismo: egli ricerca " nelle cose il loro sorriso", la loro anima, il loro significato nascosto e simbolico. Ecco perché la sua poesia è sempre ricca di allusioni e di analogie simboliche.
La sintassi: preferisce periodi semplici, composti di una sola frase, o strutture paratattiche con frasi accostate mediante virgole o congiunzioni.
Aspetto metrico e fonico: partendo dalla metrica classica e tradizionale vi innesta forme e metri nuovi, adatti ad esprimere timbri e toni nascosti, assonanze e allusioni. Cura in particolare la magia dei suoni, la trama sonora, gli effetti musicali di onomatopee espressive e di pause improvvise.
Accorgimenti stilistici: molto curate le scelte espressive. Per rendere le immagini più vive e sintetiche, Pascoli ama talvolta eliminare congiunzioni e verbi (ellissi) o fare accostamenti nuovi trasformando aggettivi e verbi in sostantivi (un nero di nubi... il cullare del mare...). Ne risulta uno stile impressionistico e nuovo.


D'ANNUNZIO e PASCOLI: UN CONFRONTO
Gabriele DAnnunzio è uno dei pochi scrittori italiani del Novecento a godere di fama europea. Raffinato cultore dellestetismo può essere considerato uno dei più noti esponenti del decadentismo internazionale. Il suo stesso panismo, la tendenza vale a dire ad identificarsi vitalisticamente con la totalità della natura, non è che un aspetto del simbolismo decadente che cerca segrete corrispondenze tra luomo e la natura. La continua spettacolarizzazione della propria vicenda biografica serve a riproporre in una condizione del tutto mutata il mito del poeta vate tramontato con lavvento della società borghese. Rilanciando tale mito, DAnnunzio rinnova lidea della poesia come privilegio, facendo della propria raffinata arte, laltra faccia di una vita che vuole proporsi come inimitabile. Lammirazione per il poeta si fonde, nel pubblico, con la curiosità per luomo e le sue stranezze, dando origine ad un vero e proprio mito di massa. La borghesia provinciale italiana proietta su di lui il proprio desiderio di affermazione così come individua in Pascoli il più sicuro portatore di unideologia fondata sullaffermazione dei propri «valori-simbolo»: la famiglia, la casa, il lavoro.
DAnnunzio e Pascoli sono, in effetti, gli autori più rappresentativi del decadentismo italiano ma, pur essendo quasi contemporanei, presentano notevoli differenze. Pascoli è un uomo dal carattere insicuro, riservato e schivo che lo costringe ad unesistenza raccolta nonostante egli non viva con serenità la solitudine. DAnnunzio è invece estroverso e con i suoi gesti teatrali vuole attirare su di se lattenzione, al fine di porre laccento sulla propria eccezionalità e grandiosità. La solitudine è, per lui, distacco ed innalzamento rispetto alla mediocrità piccolo-borghese. Queste profonde differenze della personalità si rispecchiano nella poesia di ognuno rendendola unica ed originale. La poesia di Pascoli è intima e raccolta, ricca della vita interiore dellautore, mentre quella di DAnnunzio è opulenta e lussureggiante, volta ad esaltare lesperienza del poeta al di là del bene e del male. Pascoli è un fanciullino che guarda alla vita con occhi stupiti, DAnnunzio è luomo deccezione che sa gestirsi in ogni situazione.
Gli aspetti più significativi del decadentismo dellautore sono:
- lestetismo artistico cioè la concezione della poesia e dellarte come creazione di bellezza slegata da qualsiasi fine morale;
- il gusto della parola scelta più per il suo valore evocativo e musicale che per il significato logico;
- il panismo ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e ad immedesimarsi con le forze e gli elementi della natura.
(Scheda di Valentina Arena)
Nota del prof. Giovanni Tozzi
Sono stato felice quando Valentina, non trovando, su queste pagine web dedicate al decadentismo, una analisi comparativa della poesia "decadente" dei due autori, ha accettato di scrivere una scheda e me l'ha inviata. E' questa, in effetti, l'interattivita' e la collaborazione (il lavoro a piu' mani) di cui ho scritto piu' volte nella presentazione dei lavori miei e dei miei studenti.
Dunque, un evviva e un grazie a Valentina per avere reso possibile questo primo tentativo di lavoro in rete.

Lo scenario intellettuale dellottocento fu dominato da tre indirizzi filosofici: il positivismo, lidealismo e il materialismo (marxista e non). Tuttavia esso ha ospitato almeno tre pensatori che non possono essere compresi in nessuno dei tre indirizzi ricordati: Schopenhauer (1788-1861), Kierkegaard (1813-1855) e Nietzsche (1844-1900).
Nessuno di essi ha avuto modo, nel suo tempo, di allevare discepoli e di costituire una vera e propria scuola. Ciononostante questi filosofi non sono rimasti per così dire dei corpi estranei rispetto al pensiero europeo e ai suoi problemi. Essi hanno anzi espresso meglio di chiunque altro alcune precise inquietudini ed istanze della coscienza moderna in una fase particolarmente delicata della sua storia.
Kierkegaard, Nietzsche e Schopenhauer muovono, ciascuno a suo modo, una critica radicale:
alle certezze idealistiche e positivistiche relative alla razionalità del mondo e alle possibilità illimitate del sapere alla trasparenza delluomo e alla natura progressiva della storia allesistenza di principi morali assoluti e alla capacitàdoverosità della filosofia di cogliere le strutture universali e necessarie del reale.
Per essi la realtà non è tutta razionale; e tra ordine delle cose e ordine dei concetti cè uneterogeneità di fondo che nessuna dialettica verrà a colmare interamente. Per quanto riguarda il sapere, esso ha limiti precisi sia a causa della natura finita del soggetto, sia a causa dellopacità e irriducibile differenza tra le cose. Per quanto riguarda luomo, il suo essere appare eccedente rispetto alle categorie della razionalità tradizionale e soprattutto diverso e incommensurabile rispetto agli altri enti naturali. Circa il divenire storico dellumanità, è pura ipotesi metafisica dire che esso è guidato da una o più finalità. Circa la morale, essa non può fornire (Kierkegaard) alcuna sicurezza assoluta al soggetto, non enuncia verità che valgano per tutti in ogni circostanza e forse, oltre ad essere la più alta espressione della natura umana, ne è il più fuorviante stravolgimento (Nietzsche). Quanto alla filosofia, se mai possa avere ruolo positivo, esso non consisterebbe di certo nel ricercare fondamenti assoluti bensì nel far acquisire alluomo maggiore consapevolezza della sua finitudine e nel promuovere la sua liberazione dai pregiudizi che lo imprigionano.
È stato anche osservato che la battaglia dei tre filosofi si è svolta non contro la ragione in sé quanto contro il razionalismo: vale a dire non tanto contro una certa funzione intellettuale delluomo quanto contro quel sistema teorico che assolutizza larea del razionale, generalizzandone in modo indebito i principi e le categorie.
Probabilmente questa osservazione mette troppo tra parentesi la dimensione propriamente irrazionalistica del pensiero kierkegaardiano, schopenaueriano e nicciano (la sottovalutazione dellopera dellintelletto, talvolta il privilegiamento di facoltà a-razionali). Ma qualcosa di vero in essa sembra pur esserci. Né si può trascurare il fatto che la riflessione irrazionalistica di Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche ha molto contribuito ad allargare lambito di ciò che può e che deve essere sottoposto allanalisi della ragione umana: si pensi allanalisi dellinconscio e della kierkegardiana «malattia mortale» che abita gli strati profondi delluomo.

Sempre sulla scia dellirrazionalismo che caratterizza la filosofia dei tre pensatori appena citati si inquadra lattività di Henri Bergson (1859-1941).
Bergson utilizza i risultati ai quali era già arrivata tutta la corrente critica del positivismo e dunque della conoscenza scientifica, aprendo così la via allaffermazione di valori spiritualistici, religiosi, mistici o comunque irrazionalistici.
Proseguendo su questa strada, Bergson fa una critica del concetto (o della categoria) di tempo: per una conoscenza estrinseca il tempo è puramente successione di istanti che si susseguono in un ben determinato ordine rettilineo (passato, presente, futuro); per la realtà della coscienza il tempo è invece qualcosa di irriducibile allistante, è durata, è un processo fluido che conserva il passato e crea il nuovo. Bergson oppone cioè due forme di conoscenza: quella estrinseca che si basa su dati empirici (il prima e il poi) e quella interiore che dissolve le intelaiature entro le quali noi sistemiamo i dati sensoriali e al prima e al dopo sostituisce e contrappone la durata, cioè la contemporanea presenza nella nostra coscienza del passato e del presente. «Non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento. Non diventiamo più poveri per il tempo passato e "perduto"; solo esso anzi dà sostanza alla nostra vita». (A. Hauser)
Lesaltazione del valore della coscienza interiore è visibile nella soluzione che Bergson dà al problema della conoscenza: il senso più profondo della realtà noi lo cogliamo non con lintelligenza che utilizza i concetti e le astrazioni elaborate dalla scienza (il concetto di causa ed effetto) ma con listinto che al suo grado più alto diventa intuizione. Tramite lintuizione noi penetriamo allinterno delle cose, cogliamo nel profondo il divenire stesso della realtà. Bergson ritiene che una forma di intuizione sia già presente nellarte, in quanto essa penetra nellanimo delle cose infinitamente più a fondo di qualunque pur minutissima descrizione scientifica.
È appena il caso di sottolineare quanto questa concezione della conoscenza sia vicina alle posizioni che i poeti nuovi francesi avevano elaborato; sarà invece opportuno aggiungere che la particolare concezione del tempo come durata avrà al più presto le sue conseguenze sulla produzione letteraria. A pochi anni dalla diffusione delle tesi di Bergson, Marcel Proust comincia a scrivere Alla ricerca del tempo perduto, secondo alcuni lopera narrativa più importante del decadentismo europeo: in essa si attua completamente la concezione bergsoniana del tempo.

Henri Bergson, filosofo francese, è autore di una teoria dell'evoluzione fondata sulla dimensione spirituale della vita umana che esercitò una profonda influenza su molte discipline.
Henri Bergson nacque a Parigi nel 1859 da una famiglia appartenente a quell'ambiente ebraico di commercianti e banchieri che si era completamente inserito nella società francese. Dopo il compimento degli studi superiori si iscrisse all'École Normale di Parigi, dove si laureò in filosofia e matematica. Si interessò attivamente alle scienze e in particolare alla matematica e alla fisica, che coniuga con la filosofia della scienza e la riflessione sul problema del tempo. Insegnò nei licei dal 1881 al 1898, anno in cui divenne professore all'École Normale Supérieure; due anni dopo fu nominato professore di filosofia al Collège de France.
Nel frattempo venne pubblicata la sua tesi di dottorato, Saggio sui dati immediati della coscienza (1889; trad. it. 1986), nella quale Bergson critica l'applicazione alla coscienza di una concezione del tempo deterministica e positivistica. Solo la "durata" intesa come sequenza di momenti qualitativamente connessi tra loro e non quantificabili, è in grado di cogliere l'io nella sua interezza.
Nelle opere successive analizzò:
il rapporto tra mente e corpo (Materia e memoria, 1896; trad. it. 1986) le regole sulle quali si fondano la commedia e il meccanismo del riso (Il riso, 1900; trad. it. 1971) il problema dell'esistenza umana all'interno dell'evoluzione intesa come energia pura, élan vital, forza vitale libera da implicazioni finalistiche o deterministe (L'evoluzione creatrice, 1907).
Nel 1914 Bergson divenne membro dell'Accademia di Francia e nel 1921 si dimise dall'incarico presso il Collège de France per occuparsi di affari esteri, di politica e di problemi morali e religiosi; si convertì al cattolicesimo ma rifiutò il battesimo per non tradire la sua origine ebraica al tempo della persecuzione. Negli ultimi vent'anni della propria vita pubblicò unicamente Le due fonti della morale e della religione (1932; trad. it. 1979), in cui estese le sue concezioni alla morale, alla religione e alla società. Nel 1927 fu insignito del premio Nobel per la letteratura. Morì a Parigi nel 1941.
Il pensiero
Bergson contrappose alla concezione razionalistica del Positivismo una visione della conoscenza e della vita fondata su diversi livelli dello spirito e su diversi piani conoscitivi. All'apice di questi livelli non è l'intelligenza, che ci offre soltanto rappresentazioni superficiali, convenzionali, utili ma non corrispondenti alla realtà delle cose; la vera attività conoscitiva è l'intuizione, che ci permette di cogliere l'essenza del reale, della natura come del nostro Io. La vera realtà della natura e dello spirito non può essere colta attraverso le artificiose schematizzazioni delle scienze ma deve essere appresa intuitivamente nel suo divenire, nel suo flusso ininterrotto.
Al concetto di tempo "spazializzato" della scienza, artificialmente diviso in momenti distinti, egli contrappose il tempo come durata, come flusso ininterrotto, come processo che non può essere quantificato ma soltanto vissuto dalla spirito. Così tutta la vita viene interpretata come evoluzione continua, come proiezione della realtà e dello spirito verso forme sempre nuove, in una perenne attività creativa.
E' la coscienza, attraverso la sua capacità di conservare nella memoria gli oggetti e poi di giustapporli in una successione ordinata, che crea il tempo omogeneo. [...] ogni termine assume per la nostra coscienza un duplice aspetto: uno sempre identico a se stesso, poiché pensiamo all'identità dell'oggetto esterno, l'altro specifico, perché l'addizione di questo termine dà luogo a una nuova organizzazione dell'insieme. [...] distinguiamo due forme di molteplicità, due valutazioni molto diverse della durata, due aspetti della vita cosciente [...] l'uno netto, preciso, ma impersonale; l'altro confuso, infinitamente mobile e inesprimibile, poiché il linguaggio non potrebbe coglierlo senza fissarne la mobilità, e nemmeno adattarlo alla sua forma banale senza farlo cadere nel dominio comune.

Sigmund Freud nacque nel 1856 a Freiberg in Moravia in una famiglia ebraica. Trasferitasi la famiglia a Vienna, nel 1860, Freud vi frequentò il ginnasio e la facoltà di medicina, laureandosi nel 1881.
Intraprese con successo il lavoro di ricerca tuttavia, nonostante le soddisfazioni ricavate decise di dedicarsi alla pratica clinica, un'attività più redditizia resa indispensabile dal matrimonio che nel frattempo aveva contratto. Lavorò quindi presso vari ospedali a Vienna e Parigi. Nel 1896, a seguito della morte del padre, visse un periodo di profonda sofferenza che tentò di superare attraverso l'analisi dei suoi stessi conflitti profondi (l'autoanalisi fu soprattutto analisi dei sogni).
Nel 1900 viene pubblicato il poderoso lavoro svolto su se stesso e sui suoi pazienti: L'interpretazione dei sogni. Fu il successo: nel 1902 l'Università di Vienna lo nominò professore straordinario e un gruppo di studiosi interessati ai temi della psicanalisi cominciò a incontrarsi a casa sua tutti i mercoledì sera.
Poi venne il nazismo che considerò con disprezzo la psicanalisi e l'osteggiò in quanto scienza ebraica: nel 1933 a Berlino furono bruciati i testi di Freud e dei suoi allievi. Nel 1938, di fronte al delirio nazista, lui ebreo decise di emigrare con la famiglia a Londra dove fu accolto con tutti gli onori.
Vi morì l'anno successivo.
LA PSICANALISI
L'idea fondamentale della psicoanalisi, la più grande novità da essa introdotta dal punto di vista concettuale, è il rilievo dato all'inconscio nell'interpretazione dei comportamenti dell'uomo. La psicoanalisi sostiene la possibilità di descrivere e analizzare i fenomeni dell'inconscio e di trarre da questi la spiegazione dei comportamenti e la cura delle patologie (le cosiddette "malattie mentali").
Freud iniziò il suo lavoro proprio occupandosi di un fenomeno morboso, l'isteria, al cui interno venivano classificati una serie di comportamenti patologici, quali l'astenia (rifiuto del cibo), l'insonnia, stati perduranti di angoscia.
Freud si convinse che le cause della malattia sono da ricercarsi nel profondo della psiche umana, cui è possibile accedere solo con metodi che indeboliscano l'attività della coscienza, come l'ipnosi. La malattia -in questa ipotesi- non è altro che un modo attraverso il quale i contenuti inconsci si manifestano all'esterno, localizzandosi come manifestazioni patologiche in una certa parte del corpo.
Ciò avviene perché nell'inconscio di ogni uomo si trovano quei contenuti psichici (desideri, pulsioni, paure) che la coscienza ha nascosto a se stessa non potendoli accettare. Quello che noi normalmente crediamo di aver dimenticato, allontanando così la sofferenza che vi è legata, è stato in realtà rimosso nell'inconscio, ed è pronto a riemergere in forma patologica se il sistema delle rimozioni e delle difese messo in opera dalla coscienza non è più in grado di assolvere pienamente al suo compito.
Il lavoro della psicoanalisi consiste allora nel riportare gradualmente alla luce (ricordare) ciò che si è voluto dimenticare e nel rivivere le esperienze traumatiche che sono all'origine della sofferenza psichica all'interno del rapporto tra il paziente e l'analista.
Freud afferma pure che quello che l'uomo pensa e dice di se stesso nella riflessione razionale non è mai "vero", perché non può dar conto dei contenuti psichici profondi ed anzi li deforma o li elude per renderli accettabili. Occorre dunque cercare la verità attraverso le manifestazioni dove l'attività razionale è meno presente: il sintomo della malattia, il lapsus e gli atti mancanti e, soprattutto, il sogno. Proprio L'interpretazione dei sogni (1900), può essere considerata la pietra di fondazione della psicoanalisi.
Il sogno però non esprime mai i contenuti inconsci così come sono, ma li trasforma e li deforma: il sogno va dunque interpretato. I suoi contenuti non vanno presi alla lettera, perché non sono le cose accadute e rimosse, ma simboli di queste. Nell'interpretazione l'analista non fa altro che percorrere a ritroso, con il paziente, il cammino compiuto dal sogno nel rielaborare i suoi contenuti. E' quindi possibile rielaborare una logica del sogno che permette di decifrare il misterioso linguaggio.

Søren Kierkegaard, unanimente considerato precursore e fondatore dell'esistenzialismo moderno, nacque nel 1813 dalla relazione fra il padre Michael, commerciante, uomo profondamente religioso e la cameriera che aveva sposato dopo la morte della prima moglie.
Lo stesso Kierkegaard descrisse la sua infanzia come un'età infelice: un ragazzo fragile fisicamente, sottoposto dal padre ad un'educazione cristiana. Si iscrisse alla facoltà di teologia dell'università di Copenaghen terminando gli studi nel 1840, dopo 10 anni. Dopo la morte della madre e di tre fratelli nel giro di due anni, interpretate come una punizione per una colpa commessa, si allontanò dal padre e cominciò la sua crisi di sfiducia nella religione.
Fondò e diresse personalmente una rivista "Il momento" in cui si lanciò contro la burocratizzazione e la mondanizzazione della Chiesa ufficiale, accusata di tradire lo spirito cristiano più autentico.
Mori nel 1855, colto da una paralisi.
Il pensiero
Tre sono, per Kierkegaard, i fondamentali "stadi sul cammino della vita", le "sfere di esistenza" che marcano un itinerario individuale: l'estetico, l'etico e il religioso.
L'esteta vive immediatamente il rapporto con la vita come godimento e come rappresentazione del godimento. La sua sfera è il gioco, l'immaginazione, e la sua vita è come un teatro:
l'estetico che è nell'uomo è ciò per cui egli è immediatamente ciò che è; l'etico è ciò per cui egli diventa ciò che diventa
Kierkegaard rappresenta l'«estetico» nei due miti letterari di Don Giovanni e Faust e nel personaggio del seduttore Johannes, che il filosofo crea fondendovi elementi della propria esperienza autobiografica.
Don Giovanni rappresenta il potere e il piacere della seduzione immediata, che allinea le proprie conquiste l'una accanto all'altra come un'indefinita successione di istanti; è la pura forza dell'eros, il cui medio espressivo ideale è la musica di Mozart.
Faust, nell'interpretazione di Kierkegaard, incarna invece il gioco della conoscenza; il patto demoniaco con Mefistofele costringe Faust alla ricerca inesausta della conoscenza assoluta, e quindi a dubitare di tutto, a non potersi mai arrestare dinanzi ad alcunché. Anche Faust è seduttore, ma di una sola donna, Margherita, poiché nel potere assoluto sopra una donna, che egli conquista grazie alla sua superiorità intellettuale, egli trova "un momento di presente", un "istante di riposo" di fronte al nulla che lo minaccia e che il suo scetticismo continuamente gli ripropone.
Johannes, infine, si colloca, nell'arco della seduzione estetica, al polo opposto rispetto a Don Giovanni: il suo diario -il Diario del seduttore che rese celebre Kierkegaard- racconta la trama sottile in cui egli avvolge la giovane Cordelia per conquistarla e poi abbandonarla. La seduzione diviene qui scrittura, forma letteraria. Johannes non gode del possesso, ma della rappresentazione della conquista; anzi, evita il possesso, perché la riuscita della seduzione mette fine al piacere, implica in qualche modo l'impegnarsi con la realtà, mentre ciò che interessa è l'idea, l'immaginazione. La categoria estetica in cui Johannes vive è quella dell'interessante: è una categoria della riflessione, perché in essa il soggetto non guarda ai contenuti ma ai modi, non vive e non gode delle cose ma della loro anticipazione e del loro ricordo. Johannes trasforma il suo desiderio e la sua seduzione in un'opera d'arte: «Introdursi in immagine nell'intimo di una fanciulla è un'arte, uscirne fuori in immagine è un capolavoro». Non appagandosi che in idea, non traducendosi mai in realtà, il suo desiderio può rimanere indefinitamente aperto.
Johannes rappresenta la vita estetica nel suo grado più raffinato e più alto. L'esteta è privo di un contenuto reale, della propria soggettività: è qualcosa solamente nell'immaginazione, perché non ha mai scelto se stesso nella realtà. Egli vive nell'orizzonte della possibilità infinita, senza mai compiere il movimento della realizzazione. La sua personalità è perciò dispersa nella molteplicità, l'unità del suo Io è illusoria ed evanescente. Non si rivela mai al mondo, non getta mai la maschera: si rappresenta e si mostra come un enigma, del quale rimane egli stesso costantemente prigioniero. La sua vita è priva di durata, perché si esaurisce nella fissità di istanti successivamente dileguanti. Egli rimane dunque sempre ciò che già è, senza poter divenire.
Opere più significative:
Aut-Aut del 1843;
Timore e tremore del 1843;
La ripresa del 1843;
Il concetto dell'angoscia del 1844;
La malattia mortale del 1849;
Esercizio del Cristianesimo del 1850.
Friedrich Wilhelm Nietzsche nacqe nel 1844 a Röcken in Germania, figlio del pastore Karl Ludwig e di Franziska Oehler, anch'essa figlia di un pastore. Rimasto orfano del padre in tenera età, crebbe affidato alle cure della madre, donna di solide qualità morali ma di cultura limitata.
A Naumburg, dove la famiglia si era trasferita, ricevette i suoi primi insegnamenti di religione, latino e greco e imparò a suonare il pianoforte. Dopo avere abbandonato la celebre scuola teologica di Pforta, con disappunto della madre, la quale sperava di vedere il figlio diventare ecclesiastico, Nietzsche studiò filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, diventando professore della disciplina all'università di Basilea a soli 24 anni; in quell'epoca si delinearono sempre più chiaramente le sue inclinazioni filosofiche. In questo periodo entrò in relazione con Richard Wagner, del quale divenne amico ed estimatore. Il loro rapporto in seguito degenerò progressivamente fino a rompersi nel 1878. Ma a quel tempo, Nietzsche era già malato da alcuni anni e soffriva di crisi nervose.
Nel 1876 abbandonò l'insegnamento per motivi di salute e iniziò la sua vita solitaria e errabonda, che lo condusse a soggiornare a lungo anche in Italia. Guastati i rapporti anche con la famiglia, egli vide peggiorare sempre più il suo stato di salute.
Nel 1889 a Torino cade in preda a un accesso di follia che non lo avrebbe abbandonato fino alla morte, avvenuta a Weimar nel 1900. Negli ultimi anni visse errando per l'Europa, spesso ospite di amici e protagonista di complicate vicende umane e sentimentali.
IL PENSIERO
Studioso della cultura greca, in particolar modo di Platone e di Aristotele, Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e dalla musica di Richard Wagner.
Nietzsche non espose il suo pensiero in forma sistematica ma in frammenti, quai in poesia; anche per questo le sue opere si sono prestate ad interpretazioni differenti esercitando un grande fascino. Lo stesso autore, consapevole dell'«inattualità» delle sue parole aveva detto: "Mi si comprenderà dopo la prossima guerra europea".
Egli cercò di ricostruire la genesi del pensiero e della civiltà moderna, individuando nell'antichità classica le radici di due fondamentali atteggiamenti culturali: quello, simboleggiato da Apollo, che si esprime nella ricerca dell'armonia, dell'equilibrio, della bellezza formale, della serenità dello spirito, della razionalità; e quello, che trova il suo simbolo in Dioniso ed è quello originario nell'uomo, che invece è espressione dell'istinto, della volontà, dell'irrazionalità, del desiderio di trasgredire a ogni ordine e a ogni legge.
Fino a questo momento della storia, sostenne Nietzsche, è stato seguito principalmente il principio apollineo, nel quale il filosofo tedesco scorge i segni di una decadenza dell'umanità, testimoniata dalle menzogne e dal dogmatismo delle scienze sul piano culturale e dal conformismo, dalla passività, dall'ipocrisia delle leggi e della politica sul piano sociale. Perciò, egli concludeva, è necessario tornare al dionisiaco, restituire all'uomo la libertà di gioire dei suoi istinti e delle sue passioni; di qui l'esigenza di abbandonare la "morale degli schiavi", l'etica della rinuncia, dell'obbedienza passiva alle leggi professata dal Cristianesimo per esaltare l'indomabile volontà di potenza dell'individuo.
L'espressione più elevata di questa liberazione è il superuomo, un essere totalmente libero, incarnazione della volontà di potenza, che sta "al di là del bene e del male", che non sottostà alle regole e che è libero dalla morale cristiana. Su un piano filosofico egli si caratterizza per la sua fedeltà alla terra: poiché Dio è morto, l'unica realtà è ora la vita terrena, non essendoci più Dio non esiste più un "mondo dietro il mondo" in cui trovare consolazione al pensiero della morte.
Tra le sue opere, le più significative sono:
La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872) Considerazioni inattuali (1872-74) Così parlò Zarathustra (1883-85) Al di là del bene e del male (1886) Genealogia della Morale (1887) L'Anticristo (1988) La gaia scienza (1882) Ecce Homo (1889).
IL SUPERUOMO
Il superomismo è la dottrina di Nietzsche (1844-1900) per la quale il «superuomo» diventa protagonista della storia. Tutti i valori della civiltà occidentale - religione, scienza, morale - per Nietzsche sono mistificazioni volute dal gregge degli «schiavi», dalla massa per ostacolare il cammino degli uomini superiori; e sono il risultato dello spegnersi nel corso dei millenni dell'originaria «volontà di potenza», ossia dellenergia creatrice delluomo e dei suoi valori vitali. Incarnazione della volontà di potenza è il superuomo (Übermensch): «Luomo deve essere superato. Il superuomo è il senso della terra. Luomo è una corda tesa fra la bestia e il superuomo, ma corda sullabisso».
Nietzsche fu un critico spietato degli ideali e dei valori tradizionali dell'Europa dell'Ottocento. Nelle sue opere filosofiche si scagliò contro il Positivismo e la sua fiducia nel fatto scientifico e oggettivo, demolendo il concetto di progresso da lui definito come un'idea "moderna" e "falsa", e contro ogni tipo di spiritualismo proclamando la morte di Dio. In particolare egli criticò il cristianesimo che riteneva un "vizio". La morale cristiana è per Nietzsche la «morale degli schiavi» che deriva dal «dire di sì ad un altro»: ad essa egli contrappose la «morale aristocratica» che ha inizio nel momento in cui «si dice di sì a se stessi».
In Così parlò Zarathustra (1883), una delle sue opere più importanti, il filosofo tedesco propone tre temi fondamentali: la morte di Dio, il superuomo e l'eterno ritorno. Soprattutto il concetto di superuomo è stato spesso male interpretato. Il superuomo nietzschiano, infatti, non è l'archetipo nazista ma piuttosto colui che, avendo preso coscienza del fatto che tutti i valori tradizionali sono crollati, è in grado di ritornare ad essere "fedele alla terra", liberandosi dalle cristallizzazioni della cultura. Il superuomo ha in sé una forza creatrice che gli permette di operare la traslazione dei valori e di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà.
LA MORTE DI DIO
Il superuorno nietzschiano vive la tragedia della sua solitudine con ben altra profondità e con ben più lancinante disperazione rispetto a tutti gli esteti decadenti. Alla base della concezione nietzschiana della vita c'è il tentativo di considerare l'esistenza nella sua sana ebbrezza primitiva e di restituirla alle sue sorgenti originarie dopo aver estirpato "il posto Dio". L'atto di liberazione dalla schiavitù della religione è un atto tragico che viene vissuto attraverso il delirio del pazzo, il quale accusa se stesso e gli altri di aver ucciso Dio. Il vuoto lasciato dalla "morte di Dio" potrà essere colmato solo dall'Uomo e da nessun'altra ideologia tirannica. Ma il travaglio della cultura che tenta di costruire un ateismo umanistico è tutt'altro che semplice da definirsi: Nietzsche vive, in questo come in altri brani (vi sono nelle sue opere diverse "morti di Dio"; questa è forse la più suggestiva), il dramma del pensiero che cerca in se stesso un assoluto criterio di giudizio e di libertà. La cultura contemporanea si sta ancora misurando con questo problema; ma il fatto che da parte di Nietzsche esso sia posto in maniera così drammatica e diremmo "teatrale" è indice dello spostarsi della filosofia verso il racconto o l'aforisma, verso la divulgazione letteraria. Indubbiamente si tratta di una bella pagina, di convincente presa emotiva: anche in questo si può ritrovare un aspetto tipico della sensibilità decadente.
L`«uomo pazzo» e il suo delirio
Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: "Cerco Dio! Cerco Dio!". Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: "L'hai forse perduto?", e altri: "S'è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano, ridendo fra di loro... L'uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: "Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa". A questo punto l'uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. "Vengo troppo presto", disse, "non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti. Questo fatto è per loro ancor più lontano della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro stessi ad averlo compiuto!". Si racconta anche che l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto fuori e interrogato non fece che rispondere: "Che sono ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?".
Per Arthur Schopenhauer (1788-1860) l'essenza dell'universo è volontà, radice unica che si realizza nell'uomo e nelle cose, colta non già attraverso un sapere razionale ma attraverso un'intuizione immediata. La volontà si rivela come irrazionale e come bisogno, deficienza, quindi infelicità e dolore. Di questa infelicità cosmica l'uomo è drammatico centro: al suo dolore la natura resta indifferente.
Il dolore è nota costante dell'esistenza; e tuttavia, Shopenhauer ravvisa una possibilità di liberazione nella contemplazione estetica: in essa l'uomo diviene puro, disinteressato soggetto conoscente che, intuendo l'idea, si sottrae, sia pure soltanto per alcuni istanti privilegiati, al dolore dell'esistenza.
L'intuizione come strumento di conoscenza dell'essere, l'irrazionalità del tutto, l'indifferenza della natura al travaglio umano, l'arte come conoscenza e come liberazione dal dolore sono motivi che entreranno nella sensibilità e nella poetica del decadentismo.

Il Decadentismo italiano non si esaurisce con Pascoli, D'Annunzio, Pirandello. Il movimento si addentra profondamente nella letteratura del Novecento e si sviluppa particolarmente in due dei suoi molteplici aspetti, nello sforzo di rinnovare la poesia e la prosa attraverso ricerche tecniche e stilistiche e nell'analisi continua del sentimento che ora è quasi solo raziocinio, ora accesa disamina, ora trasognato ricordare, ora crudo realismo.
È un complesso movimento spirituale artistico letterario, che ha origine in Francia nella seconda metà dell'Ottocento e da lì si propaga in tutta Europa. Alla base del Decadentismo sta una crisi religiosa, la perdita di Dio. Esso è indice di un complesso di inquietudini che derivano dalla incapacità o impossibilità dello spirito di aderire a forti ideali. Determina, nelle lettere, ricerche tecniche nuove e ricerche di un nuovo linguaggio, compiaciuta e pur sofferta solitudine e insieme un senso represso di inferiorità o di angoscia per non saper comprendere socialmente i propi simili. Inizia vagamente nel Seicento, ma germì nella scapigliatura milanese. Si fa più consapevole nel Pascoli e si accentua in D'Annunzio. Assume particolari aspetti nel Pirandello, si afferma, pur con deviazioni, con il Futurismo e anche coi poeti crepuscolari e infine si affina con l'Ermetismo. Il Decadentismo ha immesso definitivamente la nostra letteratura nella più vasta letteratura europea. I maggiori esponenti sono Pascoli, D'Annunzio, Pirandello.

Crisi della scienza e rifiuto della società contemporanea
Gli intellettuali dei Positivismo avevano largamente predicato di utilizzare la scienza per cogliere le leggi della natura e della società e una volta conosciutele avrebbero agito su di esse per modificare gli squilibri sociali e biologici Non aveva forse detto Zola che quando si possederanno le leggi basterà agire sugli individui e sugli ambienti per arrivare al miglior stato sociale e che sulla base di queste leggi si poteva essere padroni del bene e del male, regolare la vita. regolare la società. risolvere a lungo andare tutti i problemi del socialismo, soprattutto offrire solide basi alla giustizia risolvendo con l'esperimento i problemi di criminalità? Ma di fronte alla fabbrica che accresceva sempre più io sfruttamento i' alienazione. e allargava le disuguaglianze sociali: di fronte alla selvaggia urbanizzazione che aumentava la criminalità, la prostituzione la nevrosi: di fronte a nuove ricerche che mettevano in dubbio tutti i presupposti su cui si era retta la scienza fino ad allora: di fronte a tutto ciò il mito della scienza, che era stato il tratto più caratteristico dell'Ottocento positivista, a fine secolo si incrinava irreversibilmente Nel 1893 Gabriele D' Annunzio, in un articolo su Zola, scriveva La scienza e incapace di ripopolare il disertato cielo. di rendere la felicità alle anime in cui ella ha distrutto l'ingenua pace E finito il tempo del suo trionfo ingannevole Bisogna ch'ella si faccia umile. già che non può tutto sapere. tutto guarire E Giovanni Pascoli in un discorso letto a Messina nel 1898 La scienza ha fallito! A morte dunque la scienza! Più netta non poteva essere. a fine secolo. la sfiducia con cui si guardava alla scienza e ai suoi miti Gli intellettuali avvertivano di essere alle soglie di un nuovo mondo Tutti quelli che sono già scomparsi e quelli che come !o Zola ancora vivono avendo già toccato il cinquantesimo anno. tutti appartengono a un ciclo d'arte ormai compiuto a un mondo già distaccato interamente dal nostro Essi non sono in grado di conoscere il gran flutto d'idee. di sensazioni e di sentimenti nuovi che si agita alla soglia del nuovo mondo (G D' Annunzio) E i tempi nuovi a molti incutevano un angoscioso senso di paura e di smarrimento. la paura della «fine» e di una prossima «catastrofe».
Crisi del liberalismo e avvento dell'imperialismo
Alla crisi della mentalità positivista e della scienza. si accompagnava, negli ultimi decenni del secolo XIX, il tramonto dell'economia e della borghesia liberale Dal 1870 in poi veniva maturando una profonda svolta nei rapporti sociali sotto la pressione di grandi vicende storiche Da un lato l'ascesa del «quarto stato» metteva paura alla sicurezza della borghesia, sempre più gretta e retriva a difesa dell'egemonia appena conquistata D'altrolato la «grande depressione» rendeva agonizzante sia l'ordine economico sia la cultura della borghesia liberale e veniva affermandosi una nuova organizzazione sociale, basata su un gigantesco processo di concentrazione industriale-finanziaria. Sul protezionismo e sulla ricerca di nuovi mercati coloniali. Nella nuova organizzazione sociale di tipo imperialistico iniziava la lunga crisi dei «ceti medi» e il loro progressivo schiacciamento tra le grandi forze dell' alta borghesia imperialistica e del proletariato Gli intellettuali, provenienti in genere dal ceto medio, perdevano così il loro retroterra sociale. prima legato alla borghesia in ascesa. Si sentivano spiazzati, sradicati, spesso incapaci di aderire all'una o all'altra delle grandi forze antagoniste della nuova storia: e la fuga dalla società diventava la soluzione di molti artisti alla loro alienazione Era dunque nel passaggio dall'economia liberale all'economia imperialistica. Con tutte le sue conseguenze, che maturava negli intellettuali il senso di una profonda crisi storica, e il Decadentismo fu la risposta degli intellettuali, artisti e letterati al tramonto della borghesia liberale
La nevrotica ricerca di identità alternative
il tramonto della borghesia liberale era vissuto dagli intellettuali come fine della borghesia stessa e della storia, fra ansie e timori di un domani tutto da inventare C'era in molti il presentimento o la consapevolezza di vivere una .crisi storica". una "decadenza", una "dissoluzione irreversibile"; e ciò portava gli intellettuali a ripiegarsi su se stessi. A ricercare oltre la fenomenologia delle apparenze e dei fatti una realtà più profonda, l'essenza delle cose e della vita, insomma a discendere verso «l'interno paese sconosciuto» Si ebbe allora un vistoso passaggio dal terreno storico-sociale, dove operava l'intellettuale di formazione positivista-naturalista, alle inesplorate zone deli'«io» E se l'intellettuale positivista aveva creduto alle «magnifiche sorti e progressive»" dell' umanità, l'intellettuale decadente. sfiduciato e sradicato. senza più punti fermi in cui credere. All'interno di una degradazione urbana insopportabile ed emarginante. tendeva a progettare un'orgia di miti irrazionalistici Mistero. Bellezza. Patria. Sogno. Arte. Vita. ecc La società appariva un territorio inautentico, un inferno da cui occorreva fuggire per nuovi paradisi artificiali, per nuovi esotismi e nuove avventure dell'anima vissute in solitudine, lontano dalla storia, dalla meschinità del quotidiano. Allo scienziato, al medico, all'ingegnere, al maestro al capitano d'industria, esaltati dalla cultura positivista. Si sostituivano l' intellettuale bohémien (Baudelaire), il ribelle e il veggente (Rimbaud). I'esteta (Huysmans, D'Annunzio), il dandy (Wilde) il superuomo (D'Annunzio). il fanciullo no (Pascoli), il santo (Fogazzaro) Alla tematica popolare e sociale si sostituiva la tematica del barbarico, del primitivo. dell'esotico. del titanico. del satanico; all'arte per l'utile, l'arte per l'arte La cultura e la letteratura del Decadentismo, in tutte le sue svariate componenti, fu mossa da spirito polemico nei riguardi della borghesia, di cui condannò la falsa morale. La grettezza intellettuale, la vita appiattita senza slanci; eppure. a ben guardare. molta di quella cultura fini per essere funzionale alla nuova borghesia imperialistica, proprio perché bandiva dal proprio orizzonte i problemi reali - cioè l'economia e i nuovi rapporti di produzione - che erano la causa prima dello "sradicamento" dell'intellettuale.


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